Il curatore non ha azione contro le banche per abusivo ricorso al credito

La Cassazione, con la sentenza n. 11798 pubblicata il 12/05/2017, ha dichiarato l’insussistenza del diritto del fallimento ad agire nei confronti di banche alle quali veniva imputata la responsabilità di abusiva concessione di credito avente l’effetto di mantenere, in capo alla società poi fallita, un’aura di solidità economica decettiva per i creditori che hanno prestato affidamento nel debitore perdendo poi i propri crediti per l’intervenuto fallimento.

Il tema era già stato trattato almeno da un paio di sentenze storiche: Cass. S.U. 7029/2006 e Cass. n. 13413/2010.

La prima aveva escluso – come la presente – la legittimazione attiva della curatela, sull’assunto che l’azione di danno da abusiva concessione del credito non fosse un’azione di massa a carattere indistinto, bensì strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore che lamenti il danno procuratogli dall’altrui illecito.

La seconda aveva riconosciuto, invece, la responsabilità di un istituto di credito salvo indicare che il percorso per giungere alla sua condanna dovesse passare per l’accertamento della responsabilità dell’amministratore della società fallita, rispetto alla quale la condotta del direttore di banca si presentava come collusa, con la conseguenza che la sua responsabilità costituiva una estensione –solidale – di quella dell’amministratore ex artt. 146 l.f. e 2394 c.c.

Nel solco di Cass. 13413/2010 si colloca anche la più recente Cass 20/04/2017 n 9983 che ha accordato la legittimazione al curatore che agiva anche nei confronti delle banche sulla base dell’art 218 l.f. che sanziona il fatto degli amministratori e in genere degli imprenditori che “ricorrono o continuano a ricorrere al credito dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza”, individuando nella condotta delle banche che hanno sostenuto l’illecito la necessaria complicità che le esponeva alla responsabilità concorrente.

La più recente sentenza della Cassazione 11798/2017 si segnala tuttavia per la incisività con cui assume (e ribadisce) che la ragione per cui il curatore è privo di legittimazione ad agire verso i terzi è semplicemente che l’azione ex art 2043 c.c. non rientra tra quelle “di massa”, finalizzate alla ricostruzione del patrimonio del debitore e aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo.

Secondo la S.C., per delimitare e definire l’azione di massa, occorre guardare all’archetipo dell’azione revocatoria che si propone la ricostruzione del patrimonio del debitore nell’interesse di tutto il ceto creditorio, mentre l’azione di abusivo ricorso al credito è un’azione aquiliana, necessariamente volta ad ottenere un risarcimento del danno la cui diffusione non può riguardare indistintamente tutti i creditori ma, selettivamente, solo quelli che possono considerarsi danneggiati dal forzato galleggiamento economico della società drogata dall’abusiva concessione di credito.

Solo costoro hanno titolo per agire in giudizio deducendo l’illecito che li ha pregiudicati, e ciò secondo lo schema degli art. 2395 c.c. e 2043 c.c., cui la figura del curatore è estranea in quanto non ha titolo per agire a vantaggio di alcuni e non di tutti.

La sentenza ripropone il tema del perimetro delle azioni di massa.

Al riguardo il faro orientativo è costituito dall’art. 24 l.f. che le raccoglie intorno alla definizione “tutte quelle che derivano dal fallimento”: quindi sono di “massa” tutte le azioni che non esistevano prima della dichiarazione di fallimento e che sono sorte per effetto della sua dichiarazione quali, appunto, le azioni revocatorie fallimentari ed il diritto di costituirsi parte civile nel giudizio per bancarotta ex art. 240 l.f.

Ad esse si possono aggiungere anche tutte le altre che riguardano questioni di diritto che vanno decise in base a norme o a principi propri del concorso, come ad esempio le azioni in cui si controverta di un diritto del curatore di sciogliersi dal contratto pendente.

Questa definizione, tuttavia, non esaurisce l’ambito delle azioni di massa che si allarga anche a quelle per le quali la legge fallimentare conferisce al curatore una legittimazione speciale ed autonoma: ne sono esempio l’art. 66 l.f. per quanto riguarda l’azione revocatoria ordinaria che, anche se intrapresa da un singolo creditore nell’interesse proprio, con l’intervento del fallimento viene attratta alla competenza fallimentare nell’interesse di tutto il ceto creditorio, e l’azione dipendente dall’art. 146 l.f., ovvero quella di responsabilità nei confronti dell’amministratore che, in realtà, preesisteva al fallimento ma che in conseguenza della sua dichiarazione viene attratta alla legittimazione unica del curatore.

Vi rientrano poi ancora tutte le azioni che preesistevano al fallimento e che vengono esercitate dal curatore ai sensi dell’art. 43 l.f. nell’interesse della massa, in quanto costituiscono comunque strumenti di reintegrazione della garanzia patrimoniale, quali le azioni di nullità, di surrogazione e di simulazione.

Risultano invece escluse le azioni a tutela del patrimonio dei creditori danneggiati da una condotta dei terzi, in quanto non è reperibile una disciplina generale che attribuisca al curatore il potere di sostituirsi ai creditori concorsuali nel loro interesse.

In quest’ottica, dunque, le azioni promosse contro un terzo – nella fattispecie banca – a tutela dell’interesse di un numero anche nutrito di creditori, non è trasferibile al curatore in quanto processualmente non esiste la possibilità per costui di sostituirsi ai creditori, ex art. 81 c.p.c., per far valere interessi diversi da quelli della massa, anche in quanto il richiamato art. 81 c.p.c. stabilisce che chi agisce in nome altrui lo possa fare solo nelle ipotesi previste dalla legge.

Dunque il passaggio della cruna dell’ago per giungere alla responsabilità in capo alle banche per l’abusiva concessione di credito è tracciato da Cass. n.13413/2010 e recentemente da Cass. 9983/2017 , che hanno chiarito come sia necessario passare per un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore rispetto al quale la condotta dell’istituto di credito si ponga in termini di complicità aprendo così ad una estensione solidale della condanna agli istituti di credito del danno recato al patrimonio sociale dall’imprenditore .

Ad un risultato non dissimile è pervenuta anche Cass. S.U. n. 1641/2017 , secondo cui il curatore ha sempre la legittimazione attiva al risarcimento del danno per fatto illecito commesso dall’amministratore derivante dall’art. 2043 c.c.; anche in questo caso (si discettava di pagamento preferenziale) la sentenza ha ritenuto estendibile la domanda risarcitoria al terzo che con la sua condotta aveva reso possibile l’illecito.

In conclusione la strada che porta al risarcimento del danno subito dai creditori per il fatto illecito del terzo è sbarrata, a meno di seguire percorsi giudiziari volti alla reintegrazione indifferenziata del patrimonio della società danneggiata dalla condotta illecita dell’amministratore che si prospettino a vantaggio di tutto il ceto creditorio.


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