Le nuove disposizioni sul falso in bilancio : legge 69 del 27 maggio 2015

La nuova legge inasprisce le pene edittali ed elimina la perseguibilità a querela della parte danneggiata, che rendeva quasi inapplicabile il ricorso all’autorità giudiziaria.

Il 14 giugno 2015 è diventata operativa la riforma sul falso in bilancio promulgata con la legge 27 maggio 2015 n 69.

La nuova legge si applica in relazione ai bilanci approvati entro il 30 giugno 2015: ossia, in relazione ai fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore, per il noto principio della irretroattività della legge penale.

La nuova legge ha mantenuto sostanzialmente gli elementi costitutivi del reato intervenendo sull’organizzazione delle esenzioni: inasprisce fortemente le pene edittali e soprattutto elimina la perseguibilità a querela della parte danneggiata, che rendeva quasi inapplicabile il ricorso all’autorità giudiziaria.

I soggetti colpiti dalla norma penale sono invariati: continuano a essere gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori.

La condotta penalmente rilevante deve prevedere (così come già la formulazione precedente) tre elementi costitutivi:

  1. l’esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero (o la loro omissione)
  2. il fine di conseguire un ingiusto profitto
  3. l’idoneità del falso ad indurre altri in errore.

Ci sono poi alcune sfumature rispetto alla precedente formulazione che distinguono quella recente, ma senza una grande rilevanza applicativa:

  • il requisito della “consapevolezza” nell’esposizione od omissione di fatti non rispondenti al vero che sostituisce il precedente requisito della ”intenzionalità di ingannare i soci o il pubblico”;
  • “l’omissione” penalmente rilevante deve interessare “fatti materiali “, mentre nella versione precedente, ad integrare la condotta era richiesto che l’omissione riguardasse le “informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge”;
  • il requisito della “rilevanza” riferito “all’omissione dei fatti materiali”, che in qualche modo aiuta a distinguere questa fattispecie di reato da quella dell’articolo successivo (di nuovo conio) ex art 2622 bis c.c. volta a colpire i falsi di lieve entità.
  • Infine il requisito della “concretezza” nell’idoneità della falsità ad indurre altri in errore è stato introdotto al presumibile fine di ridurre la discrezionalità nella valutazione dell’idoneità all’induzione in errore.

Come già osservato, di centrale rilevanza è l’accrescimento della pena, che spostando il reato dall’area contravvenzionale a quella del delitto, la incrementa: è portata alla reclusione da uno a cinque anni – con un grande inasprimento rispetto alla precedente formulazione del reato, dove era previsto l’arresto fino a due anni.

Altro elemento di rilievo è l’eliminazione del requisito della causazione del danno patrimoniale e della perseguibilità a querela, presenti nell’art 2622 c.c. di precedente edizione a cui l’art 2621 c.c. faceva rinvio.

Questa rimozione allarga effettivamente di molto l’orizzonte di perseguibilità del reato.

All’articolo 2621 sono stati aggiunti gli artt. 2621 bis e ter c.c. che introducono rispettivamente

  • attenuanti legate alla lieve entità della falsità delle comunicazioni sociali “tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta” e
  • un’esimente per fatti di particolare tenuità giudicati in base “all’entità dell’eventuale danno cagionato”: è immaginabile che nella giurisprudenza futura gli elementi per valutare la particolare tenuità del fatto siano individuati negli stessi indici presenti della formulazione precedente che escludevano, appunto, la punibilità ove la falsità o l’omissione avesse determinato la variazione del risultato economico dell’esercizio in misura non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1%.

L’art 2622 c.c. è stato abrogato e sostituito con quello di nuovo conio che riguarda, ora, unicamente le società quotate nelle quali le stesse fattispecie penali già esaminate comportano l’applicazione di pene più aspre che vanno dai tre agli otto anni mentre la precedente formulazione prevedeva la reclusione da uno a quattro anni ovvero da due a sei anni nel caso di grave nocumento provocato ai risparmiatori.

Per il resto la previsione della condotta punibile non muta rispetto a quanto previsto dall’art 2621 c.c.

In conclusione si può trarre la considerazione che la riforma del reato di falso in bilancio si è risolta in un inasprimento della pena e nell’eliminazione della perseguibilità a querela senza particolare innovazione per quanto riguarda la struttura della fattispecie penale; infatti, correttamente, persistono le ipotesi di esenzione e di limitazione della pena, già presenti nella precedente formulazione, anche se dette ipotesi una volta erano riconducibili ad elementi rigidi e predeterminati mentre ora sono lasciate alla valutazione discrezionale del magistrato incaricato a valutarle.

Nel complesso la riforma risponde all’esigenza di una formulazione più semplice che permette di considerare più certa l’applicazione della pena nel caso in cui gli organi apicali della società scientemente si orientino su condotte volte a violare le regole di valutazioni dei dati economici, patrimoniali e finanziari di bilancio, discostandosi dalle disposizioni indicate dalla legge e dalle interpretazioni dettate dalle linee guida contenute nei Principi contabili.

Ritengo che della nuova normativa faranno largo uso i curatori fallimentari ma anche i commissari giudiziali (cui è chiesto ora dagli artt. 161 e 165 l.f. di nuovo conio ex d.l. 83/2015 la comunicazione al P.M. della relazione ex art 172 l.f. e “dei fatti che possono interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale”), interrompendo quella prassi finora in corso di considerare il concordato preventivo una forma di esimente di fatto dei reati societari e fallimentari con la propensione ad assecondare il costume di indulgere sull’imprenditore che riconosce lo stato di insolvenza cercandone una soluzione, evitando troppi approfondimenti sulle cause e responsabilità anche di stampo penale che hanno portato a quell’insolvenza, alla anzianità della sua formazione e alle scelte dichiarative che hanno animato l’imprenditore nella redazione dei bilanci.


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