L’effetto esdebitatorio nel sovraindebitamento: condizioni del successo della norma

La sempre maggior penetrazione nella sensibilità collettiva della procedura da sovraindebitamento (legge 3/2012) presenta agli interpreti e agli operatori la necessità di trovare risposte ai quesiti sempre più numerosi che la casistica pone

La legge sul sovraindebitamento (L 3/2012 modificata dal D.L. 179/2012) ha colmato una lacuna normativa che condannava il debitore non fallibile ad una condizione di emarginazione economica.

La disparità presente nelle diverse fasce del mondo economico era evidente: con il fallimento le società commerciali mandano in soffitta ogni posizione debitoria non soddisfatta attraverso la liquidazione dei beni; analogamente l’imprenditore fallito al termine della procedura concorsuale può richiedere ex art 142 l.f. il provvedimento dell’esdebitazione ottenendo il beneficio di riappropriarsi di una trasparenza reddituale e patrimoniale anche in presenza di creditori non integralmente soddisfatti

Invece, prima della L 3/2012, il debitore comune (che definiremo civile per distinguerlo da quello c.d. commerciale) o comunque sotto soglia di fallibilità restava perennemente esposto alle esecuzioni dei creditori non soddisfatti non appena la situazione patrimoniale o reddituale avesse fatto emergere qualche sostanza aggredibile.

Le figure che possono accedere allo strumento della soluzione della crisi da sovraindebitamento sono:

  1. il piccolo imprenditore non fallibile in quanto i suoi valori patrimoniali ed economici non raggiungono le soglie stabilite dall’art 1 l.f.;
  2. le start up innovative a cui la disciplina del fallimento non è applicabile per i primi 4 anni;
  3. il consumatore il cui debito si connota per l’estraneità della sua origine all’attività imprenditoriale o professionale;
  4. il professionista, escluso per definizione dal fallimento;
  5. l’imprenditore agricolo, anch’esso escluso per disciplina civilistica dal fallimento (ma non dall’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art182 bis l.f.);
  6. ed infine il debitore comune che ha assunto debiti per scopi inerenti all’attività imprenditoriale o professionale ma non per questo fallibile (ad esempio il fideiussore).

Salvo il consumatore, in capo al quale il legislatore ha confezionato uno strumento ad hoc caratterizzato da minori formalità (il piano del consumatore), le altre figure hanno a disposizione due strumenti: l’accordo con i creditori o la liquidazione di tutto ciò di cui dispongono ora ed in un futuro delimitato però nel tempo.

Nell’accordo di composizione della crisi con i creditori il risultato dell’esdebitazione è la conseguenza stessa del patto con i creditori.

Nella procedura liquidatoria il premio esdebitatorio viene invece riconosciuto dal giudice a seguito di un’istruttoria svolta allo scopo di indagare se il debitore sia stato collaborativo durante la procedura, se abbia fatto quanto possibile per risarcire il credito svolgendo un’attività produttiva o cercandosi un’occupazione, se nei cinque anni precedenti abbia commesso atti di frode verso i creditori, se siano stati soddisfatti almeno in parte i creditori anteriori e se il suo ricorso al credito sia stato colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali.

Questi ultimi tre concetti vanno approfonditi in quanto costituiscono elementi sulla cui ricorrenza il debitore, dal momento in cui avvia la procedura di liquidazione, non può più incidere appartenendo interamente al suo passato.

L’atto di frode ha un significato ampio e differente a seconda del contesto in cui viene collocato in quando non è assimilabile sic et sempliciter al falso dovendo invece avere un connotato decettivo riconoscibile come funzionale al contesto in cui si pone.

La legge aiuta a circoscrivere l’ambito specificando che l’atto di frode deve coincidere con lo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri.

L’atto di frode deve essere connotato dalla consapevolezza e volontà della condotta: non può essere considerato fraudolento un atto che il debitore sia stato costretto ad eseguire sotto la pressione di minacce o violenza del creditore favorito.

L’atto di frode dunque in questo contesto si deve caratterizzare per il danno recato volontariamente ad uno o più creditori con vantaggio proprio o di un terzo: se ciò è accaduto il creditore deve attendere il quinquiennio dall’evento prima di accedere alla procedura di liquidazione.

La seconda condizione ostativa alla concessione del provvedimento esdebitatorio è la soddisfazione “almeno in parte” dei creditori.

La formulazione è sostanzialmente analoga a quella dell’art 142 l.f., circostanza che consente di attingere all’esperienza giurisprudenziale che quella norma ha generato in cui la Cass. SS.UU. (sentenza n 24214/2011) ha interpretato l’inciso “almeno in parte” (riferito al soddisfacimento) avendo riguardo all’insieme del passivo fallimentare e non al credito di ciascuno e concludendo quindi che la condizione si ritiene raggiunta anche nel caso in cui alcuni creditori non siano stati pagati affatto (orientamento confermato anche di recente da Cass. 16620/2016).

Il compito di misurare l’adeguatezza del soddisfacimento in ragione della concessione dell’esdebitazione è rimessa alla valutazione del giudice di merito cui è richiesto, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto.

Nell’ambito commerciale il principio è coerente con il sistema in quanto l’imprenditore è contornato da norme che lo richiamano ad una condotta prudente e rispettosa del credito: si pensi alle sanzioni conseguenti al falso in bilancio (art 2621 c.c.), alla necessità di tutelare la conservazione del patrimonio a garanzia dei creditori (2392 c.c.), all’obbligo di non aggravare il dissesto ritardando il fallimento (art 217 l.f.).

In sede di sovraindebitamento (spesso) le disposizioni sopra richiamate non operano e il sovraindebitato non ha nessuna bussola orientativa che non sia la consapevolezza di assumere una misura di debito sproporzionato rispetto alle proprie capacità patrimoniali: infatti l’ultimo requisito ostativo alla concessione della esdebitazione è il ricorso colposo al credito, sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali.

Il discrimine per autorizzare o meno l’accesso al beneficio passa allora necessariamente da questo anello di valutazione assai più che per quello indicato dalla Cassazione in applicazione dell’art 142 l.f.

Occorre porsi il quesito di come si pone questo criterio rispetto alla figura che farà largo uso dell’istituto rappresentato dal “fideiussore” di impresa insolvente. Costui ha normalmente firmato svariate fideiussioni in un’epoca nella quale l’impresa godeva di merito creditizio; le fideiussioni sono state sottoscritte nella trasparente consapevolezza collettiva (delle banche e dell’imprenditore) che in caso di default dell’impresa il patrimonio non sarebbe stato sufficiente alla soddisfazione del debito.

Il default dell’impresa peraltro può essere (ovviamente) causato da una miriade di ipotesi in cui il fideiussore non ha alcuna responsabilità neppure indiretta.

Dunque l’indagine sulla colpa nel sovraindebitamento dovrà essere condotta prestando attenzione alla finalità della norma che è quella di permettere ai debitori di uscire dalla loro crisi ricollocandoli nell’alveo della economia palese, senza il rischio di cadere nell’usura: ove esistesse un’eccessiva severità nell’applicazione di tale criterio ostativo diventa forte il rischio che una buona parte di soggetti destinatari naturali della tutela offerta dalla normativa, ne rimangano invece esclusi e ancora una volta condannati alla condizione di pària economici.


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