Concordato in continuità: come cambia con la riforma del 2015

Ecco le novità legislative sulla procedura di concordato in continuità, che dopo le riforme dell’estate 2015 acquisisce nuove attrattive fra le procedure concorsuali.

Il concordato con continuità aziendale è disciplinato dall’articolo 186 bis della legge fallimentare e trova applicazione allorché il piano concordatario preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento (sempre in esercizio) in una o più società anche di nuova costituzione.

La continuità non è contraddetta dalla liquidazione dei beni purché non funzionali all’esercizio dell’impresa.

La stessa norma aggiunge altri due requisiti elencati alle lettere a) e b) del secondo comma:

i) la predisposizione di un business plan indicante i costi e ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa e le risorse finanziarie necessarie con le relative modalità di copertura;
ii) la produzione di un’attestazione da parte di un professionista indipendente che dichiari che la prosecuzione dell’attività di impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.
Il concordato in continuità permette il conseguimento di importanti vantaggi alcuni dei quali indicati nello stesso articolo 186 bis1, quali la moratoria di un anno per il pagamento dei crediti privilegiati e il divieto di risoluzione dei contratti in corso, mentre altri sono distribuiti nel corpo della legge fallimentare quali, ad esempio, la possibilità di pagare crediti anteriori al concordato, previsto dall’articolo 182 quinquies, o di sottrarsi all’obbligo (di recente introduzione) di rispettare la soglia minima del 20% da destinare ai creditori chirografari (articolo 160 ult. comma come modificato dalla legge 6 agosto 2015 n 132)

Quest’ultima novità è destinata a vivacizzare il dibattito in ordine ai contenuti del concordato in continuità che sappiano distinguerlo da quello liquidatorio.

Dalla lettura dell’articolo 186 bis emergono due diverse ipotesi di continuità: una diretta o soggettiva, realizzata attraverso il permanere dell’impresa in capo all’imprenditore che la prosegue e la seconda, indiretta od oggettiva, che si realizza (secondo il dettato della legge) attraverso la cessione dell’azienda in esercizio a terzi o attraverso il suo conferimento (sempre in esercizio) in altra società, anche di nuova costituzione.

È evidente il grande passo in avanti rispetto al passato permesso dall’art 186 bis che recupera alla continuità anche situazioni che un tempo venivano trattate in termini liquidatori, ed infatti la cessione dell’azienda o il suo conferimento sembrano maggiormente compatibili con la finalità liquidatoria piuttosto che non con quella della continuità.

Al riguardo secondo una corrente di pensiero2 e qualunque forma di continuità aziendale sarebbe compatibile con l’articolo 186 bis ovverosia tutte le ipotesi in cui l’esercizio dell’azienda continui indipendentemente dal soggetto che ne diviene titolare.

Secondo altri3 invece la continuità presuppone che l’attività sia in grado di sviluppare flussi capaci di pagare i debiti pregressi.

La scelta fra questi due filoni è guidata dall’insegnamento della Cassazione a SS.UU. n. 1521 del 2013 che ha enunciato il contenuto della causa concreta del concordato, rappresentato dall’obbiettivo del superamento della crisi aziendale capace di soddisfare i creditori anche in termini parziali purché non irrisori ed in tempi ragionevoli.

Calando la definizione testé riferita all’ipotesi di concordato in continuità si può convenire che la causa concreta è realizzata attraverso la prosecuzione dell’esercizio aziendale orientata al mantenimento degli elementi caratterizzanti l’attività d’impresa (indicati dall’articolo 2082 c.c. nella professionalità, economicità ed organizzazione) al fine della produzione di un reddito, indipendentemente dal soggetto che la realizza.

Ciò permette di separare la continuità aziendale di cui all’articolo 186 bis dalle altre forme di continuità che si propongono il più basso profilo della finalità liquidatoria caratterizzata dunque solo dalla conclusione degli affari in corso; inoltre consente di cogliere il tratto qualificante della continuità aziendale, rappresentato non già dalla correlazione tra la prosecuzione dell’attività e la capacità di pagamento dei creditori, bensì dal fatto che l’azienda venga gestita in esercizio al fine della produzione di reddito e ciò senza la condizione che la prosecuzione sia garantita dallo stesso imprenditore debitore ovvero da un terzo cui l’azienda sia stata ceduta.

Dunque il primo grande elemento di novità legato all’art 186 bis è quello di aver permesso di spostare l’attenzione dalla relazione esercizio in attività – soddisfacimento dei debitori, a quella di esercizio in attività – superamento della crisi aziendale che permette di focalizzare l’obiettivo sulla prosecuzione dell’attività indipendentemente dal soggetto che se ne rende autore e dunque anche attraverso soluzioni traslative dell’azienda.

Prendendo ora in esame proprio le vicende-traslative dell’azienda idonee a consentire la continuità aziendale secondo il dettato dell’articolo 186 bis legge fallimentare, non si può fare a meno di osservare che risulta fondamentale che l’imprenditore gestisca l’azienda in esercizio al momento in cui viene depositato il ricorso per concordato; in quest’ottica, il preliminare di cessione d’azienda che venga eseguito in corso di procedura rappresenta senz’altro un’ipotesi capace di trovare ampi consensi nella giurisprudenza in termini di compatibilità con l’istituto dell’articolo 186 bis; assai meno quella in cui il possesso dell’azienda sia passata a terzi prima del deposito della domanda di concordato a cui si pervenga, per esempio, attraverso un affitto-ponte.

In questo caso la principale obiezione che viene mossa, ostativa all’applicazione dell’articolo 186 bis, è che questa forma di gestione non permette l’esecuzione del secondo comma lettera a) che richiede la presentazione di un business plan, in quanto esso sarebbe inutile ove il rischio dell’attività di impresa fosse già in capo ad un soggetto terzo.

Occorre però mettere in guardia dalla sottrazione dell’ipotesi di affitto-ponte dalla disciplina dell’articolo 186 bis, in quanto le conseguenze per il sistema possono essere peggiori di quelle che si vogliono evitare attraverso la sua emarginazione.

L’articolo 186 bis costituisce una deroga al principio della responsabilità patrimoniale 4 del debitore disciplinata dall’articolo 2740 c.c. secondo cui il debitore risponde verso i propri creditori con tutto il suo patrimonio; è evidente che in caso di continuità aziendale una parte del patrimonio dell’impresa sia fisiologicamente destinata alla prosecuzione dell’attività e dunque sottratto alla liquidazione a vantaggio dei creditori.

Questa eccezione ad uno dei principi cardine del nostro ordinamento è tuttavia bilanciata dall’obbligo di presentare un’attestazione che garantisca che la prosecuzione dell’attività costituisce il miglior strumento funzionale alla soddisfazione dei crediti.

L’emarginazione dalla disciplina di cui all’articolo 186 bis dell’ipotesi di gestione dell’impresa da parte di un terzo al momento del deposito della domanda di concordato, permette di sottrarla all’applicazione dell’articolo 2740 c.c. senza però l’adozione degli oneri previsti dall’articolo 186 bis a bilanciamento della deroga.

Proseguendo nell’analisi degli strumenti alternativi o convergenti con quelli indicati dall’art 186 bis 1° comma, è facile rilevare che l’affitto, che pure è l’istituto più praticato per il risanamento d’azienda, è senza dubbio il grande escluso dalla previsione dell’articolo 186 bis, circostanza che permette di avanzare dubbi circa la tassatività dei casi previsti dall’articolo 186 bis e la imperatività del secondo comma della lettera a) dell’articolo stesso.

L’affitto nell’attività di risanamento può essere proposto in due versioni diverse: l’affitto fine a sé stesso e quello prodromico alla cessione; il primo è mediamente reietto dalla giurisprudenza perché comporterebbe una soluzione solo temporanea della crisi aziendale oltre al fatto che il trasferimento del rischio di impresa in capo ad un terzo renderebbe irrilevante l’obbligo di indicare i costi e i ricavi relativi alla prosecuzione dell’attività.

Occorre considerare però come tale ultima obbiezione ostativa all’applicazione dell’articolo 186 bis sia riferibile anche alla cessione d’azienda che pure è ipotesi disciplinata dalla norma; inoltre l’addebito della provvisorietà della soluzione proposta, andrebbe rivalutata alla luce della causa concreta indicata dalle SS.UU. ben potendo essere uno strumento teso al risanamento della impresa orientata al profitto5; senza contare che l’affitto fine a sè stesso permetterebbe, allo scadere del termine, la restituzione dell’azienda in capo allo stesso imprenditore debitore con ripresa completa della prosecuzione diretta dell’attività d’impresa.

Anche l’eccezione dell’incongruenza dell’obbligo di predisporre un business plan riferito all’affittuario su cui il rischio aziendale sarebbe trasferito pare superabile ove venisse messa in discussione l’imperatività del precetto (costruito evidentemente sull’ipotesi della continuità diretta) mentre, in ogni caso, anche l’insolvenza dell’affittuario sarebbe comunque idonea a ripercuotersi sul ceto creditorio del debitore, rendendosi dunque necessario un monitoraggio severo anche in caso di prosecuzione dell’attività in capo ad un terzo attraverso, ad esempio, l’obbligo di predisporre un business plan.

Il secondo caso dell’affitto prodromico alla cessione è figura considerata compatibile con l’articolo186 bis in tutti i casi in cui l’affitto abbia inizio in corso di procedura permettendo, anche se per poche settimane o giorni, la prosecuzione dell’attività in capo all’imprenditore al quale è dunque imposto l’obbligo dell’indicazione dei costi e dei ricavi.

L’affitto iniziato prima della domanda di concordato ha sollevato perplessità non solo circa la compatibilità con l’articolo 186 bis ma in generale rispetto alla adottabilità tout court dello stesso concordato, per via del dubbio insinuatosi circa la conservazione della natura di imprenditore in capo al debitore concedente l’affitto d’azienda6.

Anche le ipotesi dell’affitto anteriori alla domanda ex articolo 161 l.f.7 potrebbero invece rientrare nella fattispecie dell’articolo 186 bis se sostenute dall’attestazione che la prosecuzione dell’azienda costituisce il miglior strumento per il soddisfacimento dei creditori, condizione che dovrebbe dunque costituire il requisito cardine per orientare l’interprete ad applicare la disposizione di cui all’articolo 186 bis, in quanto l’attestazione consente a qualsiasi forma di continuità aziendale di giustificare il sacrificio richiesto al ceto creditorio di veder sottratto all’adempimento delle obbligazioni parte o l’interezza del patrimonio di cui dispone, alla condizione di rivolgere allo stesso ceto creditorio la dichiarazione solenne che la prosecuzione dell’attività imprenditoriale costituisca il miglior mezzo funzionale al soddisfacimento dei crediti, migliore dunque rispetto alla (sacrificata) liquidazione atomistica dei beni.

Occorre rilevare tuttavia che allo stato la giurisprudenza si presenta abbastanza disorientata in ordine alla questione della continuità aziendale e all’applicazione della disciplina di cui all’articolo186 bis.

Dando una rapida carrellata alla giurisprudenza si registrano, infatti, opinioni non solo differenti ma addirittura completamente divergenti a seconda che a pronunciarsi sul problema della continuità sia uno o l’altro tribunale.

Ad esempio:

ritengono ricorrere compatibilità tra la disciplina della continuità aziendale e l’affitto, anche anteriore alla domanda di concordato, purchè funzionale ad una cessione: il Tribunale di Bolzano (10/3/2015), il Tribunale di Reggio Emilia (21/10/2014), il Tribunale di Patti (12/11/2014), il Tribunale di Mantova (19/9/2013), il Tribunale di Cuneo (29/10/2013);
le seguenti pronunce invece convengono circa la compatibilità della continuità aziendale con l’affitto purché avviato successivamente alla presentazione della domanda di concordato: Tribunale di Avezzano (22/10/2014) e Tribunale di Monza (11/6/2013);
il Tribunale di Avezzano (22/10/2014) si è dichiarato contrario all’affitto fine a sé stesso;
la stessa figura dell’affitto fine a sé stesso è stata invece considerata dal Tribunale di Vercelli (13/8/2014) compatibile con l’articolo 186 bis in quanto funzionale al mantenimento in esercizio dell’attività;
secondo altro orientamento, vi è incompatibilità assoluta fra l’affitto di azienda e la continuità aziendale: Tribunale di Ravenna (22/10/2014), Tribunale di Busto Arsizio (1/10/2014), Tribunale Terni (28/1/2013);
infine, la continuità aziendale sarebbe incompatibile con la cessione proposta subito dopo l’omologa per il Tribunale Busto Arsizio (1/10/2014)8 in quanto la prossimità all’omologa rivelerebbe una finalità liquidatoria da parte del debitore.
Confidando dunque che queste divergenze trovino composizione, si ritiene che la soluzione prospettata possa rappresentare un’indicazione di superamento dei contrasti ancora presenti in giurisprudenza, orientando l’interpretazione della norma verso una sua lettura teleologica che superi la rigidità di quella letterale, alla luce della valorizzazione della causa concreta del concordato secondo l’indicazione della Cass. SS. UU. n 1521/2013.

Gli articoli citati non accompagnati dai dati di legge fanno riferimento tutti al R.D. 16/3/1942 n. 267.
F. Lamanna: La legge fallimentare dopo il Decreto Sviluppo in il fallimentarista 2012; M Arato: il concordato con continuità aziendale in il fallimentarista 2012
A. Lolli, il concordato con continuità aziendale mediante l’intervento di terzi nel processo di risanamento in Contratto ed Impresa 2013 pag 1092
Trib. Torino 5/6/2014: “La previsione contenuta nell’art. 186 bis L.F., che ammette la possibilità di una prosecuzione dell’attività con parziale cessione dei beni, costituisce una deroga al principio di cui all’articolo 2740 c.c. ed è espressione della volontà ispiratrice della riforma volta alla conservazione del valore dell’impresa”; idem A. Roma 5/3/2014: “La cessione parziale dei beni ai creditori è ammissibile solamente nell’ambito di un concordato che favorisca la conservazione dell’impresa”
Trib Vercelli 13/8/2014: “La nozione di continuità aziendale deve essere letta in senso oggettivo così che l’applicazione dell’articolo 186 bis L.F. non può essere esclusa laddove l’affitto di azienda non sia esclusivamente preordinato ad una conservazione dei valori aziendali in vista della successiva liquidazione ma sia finalizzato al mantenimento in esercizio dell’attività imprenditoriale”.
Il Tribunale di Cuneo (29/10/2013) ha risolto positivamente il quesito affermando che la natura imprenditoriale permane in capo al concedente l’affitto atteso che al termine del contratto gli sarà retrocessa l’azienda; idem Trib. Bolzano 27/2/2013; Trib. Vercelli 13/8/2014.
Si riporta al riguardo una pronuncia del Tribunale di Bolzano 10/3/2015 secondo cui: “Lo spartiacque fra il concordato liquidatorio e quello in continuità deve, pertanto, essere individuato nell’oggettiva, e non soggettiva, continuazione del complesso produttivo, sia direttamente da parte dell’imprenditore, che indirettamente da parte di un terzo (affittuario, cessionario, conferitario), con conseguente applicazione della specifica disciplina, in termini di benefici e oneri”;
Trib Busto Arsizio 1/10/2014 secondo cui: “Il concordato può, infatti, essere ricondotto all’istituto di cui all’art. 186bis L.F. in tutte le ipotesi in cui il debitore prosegue nell’esercizio dell’impresa dopo l’omologazione: in via temporanea perché in vista di una cessione o in via definitiva perché in prosecuzione diretta in vista di un risanamento.”


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