Concordato preventivo e omologazione


Dopo l’adunanza non può essere validamente espresso un voto contrario alla proposta concordataria, con l’ulteriore conseguenza che, non potendosi il creditore considerare validamente dissenziente, egli non è legittimato a proporre una opposizione avente ad oggetto la convenienza della proposta, essendo questa riservata ai creditori dissenzienti. Non è possibile procedere ad una regressione della procedura, né può essere possibile riesaminare – in assenza di specifica opposizione ovvero in assenza di espressione contraria di voto – il giudizio di corretta formazione della suddetta classe. E’ nulla la classe che non prevede alcuna soddisfazione dei creditori, salvo che non ricorra l’ipotesi della postergazione del credito. (massima)

Il caso

Innanzi al Tribunale di Milano veniva presentato un ricorso per concordato preventivo e transazione fiscale. La proposta prevedeva: (i) quattro classi di creditori, (ii) l’apporto di nuova finanza; (iii) la liquidazione dell’attivo societario (integralmente completata prima dell’omologa del concordato); (iv) la candidatura del liquidatore sociale quale liquidatore dell’attivo concordatario, senza oneri per la procedura.

La proposta riceveva il voto favorevole della maggioranza dei creditori e di tre classi su quattro, con voto contrario della sola classe dei creditori privilegiati (per la parte degradata al chirografo) cui appartenevano Agenzia delle Entrate e Equitalia Nord S.p.a., che nei venti giorni successivi all’adunanza esprimevano voto contrario.

I due creditori dissenzienti proponevano opposizione all’omologa.

Il tribunale omologava il concordato, rigettando le opposizioni, dichiarando la nullità della classe per la quale non era stata prevista alcuna soddisfazione dei creditori e nominando un liquidatore giudiziale.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La pronuncia in commento offre numerosi spunti di riflessione.

Viene anzitutto analizzata la legittimazione a proporre opposizione all’omologa da parte di un creditore che abbia espresso voto contrario non in sede di adunanza, bensì nei successivi 20 giorni.

Il tribunale, ponendosi sulla scia di alcune recenti pronunce di merito (App. Lecce,  08.06.2009; T. Monza, 29.01.2010), afferma che il creditore che abbia espresso voto contrario dopo l’adunanza non acquisisca il ruolo di dissenziente ai fini della successiva opposizione all’omologa: la pronuncia si basa sull’interpretazione letterale dell’art. 178 comma 4 l.f., laddove è fatto espresso riferimento alle sole “adesioni” pervenute successivamente all’adunanza, coerentemente alla logica di favor nei confronti del concordato preventivo.

Nella pronuncia si precisa che l’invalidità del voto contrario “tardivo” si riflette sulla legittimazione a proporre opposizione all’omologa: su questo punto è necessario soffermare l’attenzione. Il tribunale, infatti, non esclude tout court la legittimazione all’opposizione da parte del “creditore tardivamente dissenziente” e non potrebbe fare altrimenti, poichè qualunque interessato, indipendentemente dall’esercizio (o meno) del diritto di voto, è legittimato ad opporsi all’omologa svolgendo eccezioni relative alla regolarità della procedura.

Il “creditore tardivamente dissenziente”, quindi, ben potrebbe costituirsi e eccepire irregolarità formali della procedura: ciò che invece gli è impedito è la richiesta della verifica della convenienza della proposta, benchè egli sia appartenente ad una classe dissenziente.

Il secondo spunto di riflessione riguarda il giudizio di corretta formazione delle classi. Il tribunale, abbracciando la tesi più autorevole, statuisce che in sede di omologa non è possibile riesaminare la correttezza della formazione delle classi in assenza di una specifica opposizione sul punto,       nel caso in cui la suddetta valutazione sia già stata eseguita in fase di ammissione del concordato. Il collegio si sofferma quindi a valutare la correttezza della formazione dell’unica classe riguardo alla quale – sostiene il collegio – detto giudizio non era stato precedentemente eseguito. Il giudizio riguarda la classe dei creditori alla quale non viene offerta alcuna percentuale di pagamento e conclude con la sua dichiarazione di nullità. Il tribunale ritiene che un concordato che non offrisse alcuna utilità ad una classe di creditori sarebbe, relativamente a detti creditori,  integralmente remissorio e, poiché l’estinzione dell’obbligazione concorsuale sarebbe in toto non satisfattiva, apparirebbe in contrasto con l’art. 160 l.f. che, invece, prevede che la proposta concordataria debba offrire ai creditori una prestazione satisfattiva, anche se in concorso con tutti gli altri creditori. Inoltre, ai creditori ai quali venisse offerto lo 0% sarebbe di fatto ed a priori impedito di esprimere un giudizio circa la convenienza del concordato rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare.

Osservazioni

In ordine alla legittimazione a proporre opposizione all’omologa, il tribunale ha abbracciato  una decisione pragmatica, allineata al favor del legislatore verso l’approvazione del concordato di cui  l’art. 178 4° comma l.f., con il suo riferimento alle sole adesioni post adunanza, costituisce espressione; sebbene l’art 180 4° comma l.f. abiliti al giudizio di convenienza (cram down) “il creditore appartenente ad una classe dissenziente”, detta locuzione non può intendersi avulsa dal contesto della legge e appare condivisibile l’opinione che tale legittimazione sia circoscritta al solo dissenziente di una classe dissenziente e non anche all’astenuto. Milita innanzitutto a favore di questa tesi il rilievo testuale che soltanto ai “dissenzienti”, secondo il 1° comma del medesimo articolo, deve essere notificato il decreto di fissazione d’udienza del giudizio di omologazione con il quale si stimola un contraddittorio volto a dare contenuto al dissenso espresso; soltanto ai “creditori dissenzienti” dunque è data facoltà di introdurre il giudizio di convenienza per illustrare le ragioni che li inducono a ritenere più opportune le alternative concretamente praticabili che intendono fare prevalere. La qualità di “creditori dissenzienti” è riservata poi unicamente a chi esprime il dissenso in adunanza, potendo, successivamente, manifestarsi solo l’adesione in forza dell’art 178 4° comma l.f. Il legislatore ha chiaramente assegnato un ruolo centrale all’adunanza dei creditori, quale momento deputato alla discussione tra il debitore e i creditori, volto anche a stimolare nel debitore un’ultima ed ancora possibile riformulazione della proposta, proprio in conseguenza delle manifestazioni di dissenso emerse in tale sede. L’adunanza dunque costituisce lo spartiacque tra i consenzienti e i dissenzienti, lasciando successivamente spazio solo a manifestazioni di consenso. Gli astenuti, a cui sono assimilati i dissenzienti “tardivi”, ancorchè conteggiati al fine del voto, non offrono nessun contributo alla formazione di una volontà cosciente dei creditori e dar loro la facoltà di provocare il cram down costituisce un premio per nulla meritato, capace di alimentare improvvise strumentalizzazioni ove si trovassero collocati in classi dissenzienti. Per le suddette ragioni, si ritiene coerente con il sistema che il voto dissenziente tardivo, pur incidendo sulle maggioranze, non abiliti all’opposizione ai fini del cram down.

*  *  *

La dichiarazione di nullità della classe cui era offerto lo 0% ed alla sua dichiarazione di nullità ispira due ordini di considerazioni: bisogna, infatti, distinguere il caso in cui il debitore proponga al creditore il pagamento dello 0%, dal caso in cui sia invece il creditore a rinunciare alla soddisfazione del proprio credito, sotto la condizione dell’omologa. Riguardo alla prima ipotesi, si osserva che la legge fallimentare non impone una soglia minima di soddisfazione dei creditori; al debitore è concessa la più ampia libertà circa la formulazione della proposta di concordato e soltanto i creditori hanno il potere di decidere se l’offerta loro prospettata sia conveniente o meno e, conseguentemente, se la percentuale di pagamento proposta sia soddisfacente. Al tribunale, dunque, è sottratto qualsiasi potere circa la valutazione della convenienza dell’offerta (salvo, ovviamente, il caso dell’opposizione all’omologa con verifica di cram down); residuerebbe, invece, in capo al tribunale “un potere-dovere insito nella funzione giurisdizionale1 che lo abiliterebbe alla verifica della sussistenza dei requisiti minimi della proposta di concordato e, quindi, della previsione di una seppur minima, purchè non irrisoria, forma di soddisfazione dei creditori. Non sarebbe, invece, affetta da nullità quella classe i cui creditori rinunciassero spontaneamente  alla soddisfazione del credito mediante dichiarazione di postergazione o remissione del debito, fatto salvo il diritto di voto.  

Le questioni aperte

Il terzo spunto di riflessione viene offerto dalla nomina del Liquidatore Giudiziale. Il tribunale provvede infatti alla nomina di un Liquidatore Giudiziale nonostante non ricorressero i presupposti per l’applicazione dell’art. 182 l.f.: nel caso di specie, infatti, (i) la proposta non prevedeva la cessione dei beni, (ii) l’attivo concordatario era già stato integralmente liquidato e (iii) nel ricorso ex art. 160 l.f. si proponeva esplicitamente la candidatura del liquidatore sociale quale liquidatore dell’attivo concordatario, proposta sottoposta anch’essa all’approvazione dei creditori. In dottrina ed in giurisprudenza il tema dell’applicazione dell’art. 182 l.f. e dei poteri di intervento del tribunale sulla determinazione delle modalità di liquidazione concordataria è stato ed è ampiamente dibattuto. Sul tema è prevalente la tesi secondo cui il tribunale non possa disattendere la scelta operata dai creditori che, approvando il concordato, abbiano espresso il proprio voto favorevole anche riguardo alle modalità di liquidazione dell’attivo; parimenti non è possibile l’integrazione del piano di esecuzione del concordato approvato dai creditori. E ciò anche nel caso in cui il concordato preveda la cessio bonorum. All’art. 182 l.f. è attribuita, infatti, portata residuale e sussidiaria: esso troverebbe applicazione solo nei casi in cui nella proposta nulla sia previsto riguardo alla liquidazione dell’attivo. Detta interpretazione appare coerente con l’attuale natura privatistica dell’istituto concordatario, in cui la volontà dei creditori assume un ruolo fondamentale. E’ da segnalare, tuttavia, una recentissima sentenza di Cassazione (Sez. I, 15.07.2011 n. 15699) a cui evidentemente il tribunale si riporta, che ha statuito che nel concordato preventivo con cessione dei beni, ove il soggetto indicato nella proposta di concordato non sia in possesso dei requisiti soggettivi previsti dall’art. 28 l.f. per la nomina del curatore e richiamati dall’art. 182 co. 2 l.f., il tribunale abbia il potere-dovere di nominare un diverso liquidatore giudiziale (anche nella medesima persona del commissario giudiziale) disattendendo la volontà dei creditori.

Conclusioni

In relazione alla legittimazione all’opposizione all’omologa ed alla nullità della classe cui viene offerto il pagamento dello 0% il provvedimento in commento si pone sulla scia di giurisprudenza e dottrina maggioritarie. L’unico punto dubbio rimane quello relativo alla nomina del liquidatore giudiziale disposta dal tribunale nonostante la diversa candidatura accettata dai creditori; sebbene sia evidente l’attenzione del tribunale al recente indirizzo di Cassazione, l’appunto da muovere attiene alla circostanza che, nel caso di specie, la proposta di concordato prevedeva solo il riparto di quanto già integralmente liquidato in corso di procedura, circostanza che se aggiunta alla gratuità del compito che il liquidatore sociale si offriva di svolgere ed alla completa subordinazione al controllo del commissario giudiziale, costituiva circostanza idonea ad annullare quella remota possibilità di conflitto d’interesse che la sentenza di Cassazione intendeva sterilizzare con la nomina di un liquidatore giudiziale di fiducia del tribunale. La conseguenza su cui il tribunale non ha probabilmente prestato attenzione è che ove il compenso al liquidatore giudiziale ostacolasse il raggiungimento degli obbiettivi di riparto promessi in concordato e misurati sull’attivo concordatario, l’eventuale domanda di risoluzione ex art 186 l.f. non potrebbe essere imputata al debitore.

Minimi riferimenti giurispludenziali, bibliografici e normativi

Sul tema della legittimazione all’opposizione: Trib. Monza, 29.01.2010, in Fallimento, 2010, 1160, relativa all’irretrattabilità del voto favorevole; Appello di Lecce, 08.06.2009, in Fallimento, 2010,1158 relativa alla revoca del voto contrario.

Sul giudizio di corretta formazione delle classi: Trib. Milano, 23.05.2008, in Fallimento, 2008,1226; si veda anche Trib. Roma 16.04.2008, in Dir. Fallim., 2008, II, 551 secondo cui la proposta di concordato che prevede una percentuale di pagamento prossima allo zero è irragionevole e senza causa e comporta l’inammissibilità della domanda di concordato. In dottrina, il tema è stato ampiamente affrontato in Proto, Le classi dei creditori nel concordato preventivo, Milano, 2010, 79-80, oltre a .

Sulla nomina del Liquidatore Giudiziale: Cass. Civile, Sez. I, 15.07.2011 n. 15699 sul sito www.cortedicassazione.it, secondo cui il soggetto indicato quale liquidatore nella proposta di concordato debba possedere i requisiti di cui all’art. 28 l.f.; Cass. Civile, Sez. I, 20.01.2011 n. 1345 in Fallimento, 2011, 533 secondo cui il tribunale non può stabilire modalità esecutive ulteriori rispetto a quelle previste nella proposta approvata dai creditori; Trib. Lodi 01.03.2010 – secondo cui nel decreto di omologa debba essere omessa la nomina del liquidatore se nella proposta di concordato con cessione dei beni è previsto che la liquidazione sarà affidata al debitore e la proposta sia stata approvata dai creditori – in Fallimento, 2010, 593 con nota di M. Fabiani; Trib. Milano 21.01.2010, in Fallimento, 2010, 1315; Trib. Milano 16.02.2009 sul sito www.ilcaso.it; Trib. Parma 20.03.2008 sul sito www.ilcaso.it secondo cui nel concordato preventivo con cessione dei beni non è necessaria la nomina di un liquidatore giudiziale qualora l’attività di liquidazione da compiere non sia di particolare complessità.

In dottrina, G. Lo Cascio, Il liquidatore giudiziale nel concordato preventivo: segnali di privatizzazione dell’istituto, in Fallimento, 2011, 534; D. Finardi, Le modalità di liquidazione nel concordato preventivo tra vincolo negoziale e poteri giudiziali, in Fallimento, 2011, 951; M. Fabiani, Concordato preventivo per cessione dei beni e predeterminazione delle modalità della liquidazione, in Fallimento, 2010, 593; ;

Le norme che disciplinano l’argomento sono: art. 163 l.f., art. 178, comma 4 l.f.; art. 180 l.f.; art. 182 l.f..

  1. Così Trib. Roma 16.04.2008, in Dir. Fallim., 2008, II, 551


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