È esclusa la compensazione fallimentare del credito da equo indennizzo ex art. 79 l.fall.

Cass. civ., sez. I, 29 ottobre 2020, n. 10869, Pres. Dott. Didone, Rel. Dott.ssa Vella

1. Massima

Il credito da equo indennizzo ex art. 79 l.f., pur collegato al contratto di affitto di azienda, diviene certo soltanto a seguito dell’esercizio del diritto di recesso da parte del Curatore successivamente alla dichiarazione di fallimento, sicché non è suscettibile di compensazione ai sensi dell’art. 56 l.f. con i contrapposti crediti, norma che postula la preesistenza dei crediti da compensare rispetto all’apertura della procedura concorsuale.

2. Il caso

Il caso è quello di una S.r.l. che subiva lo scioglimento dal contratto di affitto d’azienda a seguito del recesso da parte del Curatore della concedente ex art. 79 l.f. successivamente alla dichiarazione di fallimento e che vedeva compensato il suo credito da equo indennizzo, con quello della massa alla riscossione dei canoni di affitto scaduti ante fallimento.

Il creditore affittuario contestava la compensazione assumendo che il proprio credito vantato a titolo di equo indennizzo fosse sorto successivamente alla dichiarazione di fallimento e che gli fosse pertanto riconosciuta la prededuzione; quindi dopo aver infruttuosamente proposto opposizione allo stato passivo ricorreva in cassazione sostenendo la mancanza dei presupposti per la compensazione, stante la mancata preesistenza al fallimento del fatto genetico della situazione giuridica estintiva, della radice causale del credito opposto in compensazione e della fonte dell’evento estintivo.

3. La questione

I Giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso affermando il principio secondo cui il credito da equo indennizzo, seppur funzionalmente collegato al contratto di affitto di azienda, sorge – o diviene certo – solo a seguito dell’esercizio del diritto potestativo di recesso che l’art. 79 l.f. consente alle parti dopo la dichiarazione di fallimento, sicché detto credito non può dirsi anteriore al fallimento ai fini della compensazione di cui all’art. 56 l.f., norma che postula la preesistenza di entrambi i crediti all’apertura della procedura concorsuale, nonché i requisiti della certezza e liquidità, richiesti in generale dall’art. 1243 c.c..

4. Osservazioni

La questione sottoposta all’esame della Suprema Corte offre lo spunto per analizzare l’istituto della compensazione fallimentare disciplinato all’art. 56 l.f., in forza del quale i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito, i crediti che essi vantano verso il medesimo soggetto, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Tuttavia la compensazione non ha luogo per i crediti non scaduti che il creditore ha acquistato per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.

La ratio sottesa alla norma è quella di consentire al creditore del fallito, in deroga al principio della par condicio creditorum, di soddisfarsi tramite la corrispondente liberazione dal proprio debito, anziché adempierlo per intero ed essere ripagato in moneta fallimentare.

Sebbene la pronuncia in esame ammetta la compensazione fallimentare unicamente tra crediti divenuti certi, e dunque esigibili, prima della dichiarazione di fallimento, la Giurisprudenza di legittimità[1] ha chiarito che la compensazione ex art. 56 l.f. è sempre ammessa quando il fatto genetico dell’obbligazione, ovvero il titolo, sia anteriore all’apertura del fallimento, potendo il requisito della esigibilità del credito ex art. 1243 c,c, maturare anche dopo la data di apertura della procedura concorsuale.

La compensazione è, infatti, ammissibile per i crediti sorti e scaduti in data certa anteriore all’ammissione al fallimento, anche se divengono liquidi ed esigibili in pendenza della procedura concorsuale; al contrario, non è ammissibile per i crediti sorti in data successiva all’inizio della procedura concorsuale.

Il principio enunciato nella sentenza in esame, pertanto, supera l’orientamento della Corte di Cassazione consolidatosi negli anni ’90 [2], secondo cui, la dichiarazione del Curatore di scioglimento del vincolo contrattuale – ai sensi dell’art. 72 co.2 l.f. -, agisce su di esso caducandolo fin dall’origine, con la conseguenza che il credito restitutorio non può reputarsi inerente ad un’obbligazione nascente dalla stessa dichiarazione del Curatore e nemmeno dalla dichiarazione di fallimento; ma, è relativo ad un’obbligazione che trova il suo fatto genetico nel venir meno della giustificazione contrattuale dell’attribuzione patrimoniale. Ne consegue che, collocandosi tale momento, anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il suddetto credito, in quanto deve considerarsi sorto prima del fallimento stesso, va ritenuto compensabile con il controcredito del promissario venditore sorto anch’esso anteriormente a detta dichiarazione.

Analoga soluzione peraltro è adottata dal legislatore all’art. 72 quater l.f. in materia di leasing allorché prevede che il credito vantato dal concedente alla data del fallimento per canoni scaduti e non pagati, si compensi con quanto ricavato dalla vendita del bene.

Similmente avviene per il credito del coobbligato solidale che, avendo pagato il creditore comune al fallito, dopo il fallimento può far valere il proprio credito di regresso nel fallimento ex art. 61 co. 2 l.f., superando il principio della cristallizzazione del passivo sul presupposto che il rapporto è sorto anteriormente al fallimento anche se il pagamento è stato effettuato dopo[3].

È ben vero che la legge all’art 79 l.f., attribuisce espressamente la prededuzione al credito da indennizzo per lo scioglimento del contratto ma ciò non ha mai rappresentato un ostacolo alla compensabilità con i crediti vantati dalla procedura per i canoni non pagati dall’affittuario ante fallimento in quanto il requisito che permette la compensabilità delle poste è l’anteriorità genetica dei crediti.

Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza ha superato il problema assegnando all’affittuario un credito di natura concorsuale in coerenza con la retrodatazione ad epoca anteriore al fallimento degli effetti dello scioglimento, circostanza peraltro che non impedisce una volta di più di avvalersi della compensazione per il caso in cui il creditore fosse al contempo moroso nel pagamento dei canoni ante fallimento.

La decisione qui in commento, a bene vedere, è priva di apparente significativo impatto pratico, in quanto se è vero che il curatore è creditore del medesimo importo per un credito maturato ante fallimento, la partita del dare-avere con il titolare del credito da indennizzo si chiuderebbe comunque in parità.

Pertanto si fatica ad apprezzare questo arresto della Cassazione destinato comunque a durare solo pochi mesi fino a quando diverrà esecutivo il Codice della Crisi e i cui effetti pratici sembrano destinati ad incidere poco o nulla sulle questioni economiche in gioco tra le parti.

[1] Cass., civ., sez. I, 31 agosto 2010, n. 18915

[2] Cass., civ., Sez. Un., 02 novembre 1999 n.755

[3] Cass. 17 gennaio 2008 n 903; Cass 01 marzo 2012 n 3216

Avv.to Gianfranco Benvenuto


potrebbero interessarti

Concordato preventivo: un colpo d’occhio sul nuovo DDL
C. Cost. 3 gennaio 2020, n. 1