I piani attestati di risanamento e la convenzione di moratoria

Ecco le novità legislative sulla procedura di concordato in continuità, che dopo le riforme dell’estate 2015 acquisisce nuove attrattive fra le procedure concorsuali.

In questo intervento descriviamo i piani di risanamento e ne spieghiamo contenuti ed effetti, mettendoli a confronto con l’istituto della convenzione di moratoria  introdotto di recente dal legislatore con la legge 132/2015 del 6/8/2015.

Illustriamo anche gli incentivi fiscali e le sanzioni penali volte a favorire l’applicazione delle soluzioni stragiudiziali della crisi in sintonia alle linee guida della prossima e imminente riforma della complessiva materia concorsuale, che le porrà sempre più in  posizione di rilievo.

1. Il piano di risanamento attestato: contenuti ed effetti

I Piani di risanamento attestati sono strumenti meno conosciuti di altri utilizzati nella risoluzione della crisi d’impresa e ciò sia per la essenzialità delle espressioni usate dal legislatore nel prevederli (non parlerei di disciplina), sia per la riservatezza che normalmente copre detti piani, elaborati in seno alle imprese e destinati ad essere noti solo a pochi creditori (di solito enti creditizi).

Del piano attestato il legislatore della riforma fallimentare fa menzione unicamente all’articolo 67 attribuendo agli atti, pagamenti e garanzie” posti in essere in esecuzione dei piani attestati, il beneficio dell’esenzione dalla revocatoria.

Da ciò si comprende quindi, la finalità del piano attestato: esso, nell’eventualità di un successivo fallimento, assicura stabilità ad atti, pagamenti e garanzie concessi su beni del debitore.

Questo beneficio, al quale i creditori possono essere interessati, è garantito dal rispetto delle seguenti condizioni:

  1. che gli atti, i pagamenti e le garanzie siano compiuti in esecuzione di un piano idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria e che assicuri il riequilibrio della situazione finanziaria dell’imprenditore;
  2. che la fattibilità del piano di risanamento sia attestata da un professionista indipendente iscritto nel registro dei revisori contabili.

Il legislatore non dice altro e quindi occorre fare un sforzo di integrazione e di interpretazione.

Facciamo intanto alcune osservazioni sul piano attestato di risanamento cercando di rispondere a qualche semplice quesito.

Il piano è predisposto dall’imprenditore (o dai suoi consulenti) e deliberato dall’organo amministrativo; il legislatore si riferisce ai “piani” già all’articolo 2381 c.c. allorché attribuisce all’organo amministrativo il compito di esaminare i piani strategici, industriali, finanziari della società.

Il piano di risanamento presuppone necessariamente l’accordo (o più accordi) almeno con i principali creditori: infatti, quantunque il piano di risanamento non costituisca necessariamente un accordo tra l’imprenditore in difficoltà finanziaria e i creditori, nè presupponga la preventiva accettazione degli stessi, è fuori dubbio che il successo dell’iniziativa sia strettamente collegato all’impegno dei creditori a non iniziare o proseguire azioni esecutive.

Il piano di risanamento sembra essere incompatibile con la liquidazione dell’impresa e può ricevere protezione soltanto se finalizzato alla continuazione dell’attività: l’osservazione è ricavata non solo dalle finalità indicate dal legislatore (risanamento della esposizione debitoria, riequilibrio della situazione finanziaria) ma soprattutto da due considerazioni:

  1. la circostanza che l’istituto non incida su quei reati che vengono compiuti ritardando il fallimento, fa ritenere che non possa applicarsi nel caso di insolvenza dell’impresa ma che il suo ambito di applicazione sia circoscritto a situazione di crisi di minore gravità e di natura essenzialmente finanziaria;
  2. il fatto che non sia previsto alcun intervento dell’autorità giudiziaria, fa ritenere che il piano di risanamento debba costituire un primo livello di composizione, regolando la crisi transitoria che può essere superata con un programma di ristrutturazione.

Il contenuto può essere il più vario ma certamente finalizzato, come anticipato, alla ripresa dell’attività; sarà prevalentemente destinato ad avere un contenuto ristrutturatorio, teso cioè a rimodulare i tempi di pagamento dei debiti, o (più episodicamente) remissorio; in ogni caso atteso che il legislatore fa riferimento ad “atti, pagamenti, garanzie”, non vi sono limiti al suo contenuto.

La legge ricorda che solo “gli atti posti in esecuzione di un piano” producono l’effetto di stabilità che il creditore offre in contropartita di una ristrutturazione o di uno sconto sul debito: pertanto, onde consentire di stabilire a partire da quale data gli atti possono ritenersi esecutivi del piano, occorre che l’imprenditore provveda a munire di data certa il documento contenente il piano e l’attestazione di fattibilità dell’esperto, in modo che gli atti successivi possano rientrare nella protezione riconosciuta dalla legge.

Inoltre non tutti gli atti godranno della protezione prevista, ma soltanto quegli atti che siano contemplati nel piano; da qui la conseguenza che il piano dovrà essere il più dettagliato ed analitico possibile.

Il risanamento dell’esposizione debitoria dell’imprenditore può avvenire sia con operazioni di ristrutturazioni interne all’impresa, che attraverso il ricorso a fonti di finanziamento esterne.

Gli interventi del primo tipo potranno consistere nella cessione di beni strumentali non strategici, in azioni tese a contenere i costi di produzione e in genere ad eliminare o ridurre le ragioni della crisi dell’impresa.

Tra gli interventi di natura esterna possono annoverarsi (ad es.) l’erogazione di nuova finanza, il riposizionamento dell’esposizione debitoria a breve in debiti a medio e lungo termine e la conversione dei crediti in capitale di rischio.

La seconda condizione, come visto è costituita dalla “fattibilità del piano” attestata da un professionista che in ordine al piano dovrà operare la seguente valutazione:

  1. che sia astrattamente idoneo a consentire il risanamento dell’impresa e dunque il ripristino di una condizione di normale esercizio;
  2. che sia concretamente realizzabile secondo le circostanze in cui si trova l’impresa; questo implica anche una verifica della correttezza dei dati di partenza oltre che della ragionevolezza delle ipotesi previsionali su cui si basa il piano di risanamento.

L’esperto dovrà essere indipendente in quanto dal suo operato possono derivare responsabilità: certamente è ravvisabile una responsabilità (contrattuale) nei confronti dell’imprenditore che l’ha scelto nel caso in cui abbia reso attestazioni false o di palese assenza del requisito della ragionevolezza, ma anche nei confronti di terzi per aver fornito dati e notizie, in caso di suo inadempimento, che hanno influenzato la loro scelta nel caso in cui costoro rappresentino i normali destinatari di tali informazioni.

L’attestatore nel momento in cui assume l’incarico, acquista ex lege nei confronti di tutti i soggetti direttamente coinvolti un obbligo di protezione dalla cui violazione conseguono danni diffusi e responsabilità dirette.

Inoltre con il D.L. 22/6/2012 n 83 (c.d. “decreto sviluppo”) il legislatore ha indicato in capo all’attestatore un profilo di responsabilità penale ogni qualvolta “espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti”.

Volgiamo ora lo sguardo a vantaggi e svantaggi operativi del piano.

A fronte di un indiscutibile vantaggio rappresentato dalla riservatezza che caratterizza i piani di risanamento attestato (ciò non tanto sul fronte dei creditori quanto su quello, forse più importante, della clientela), esistono alcuni svantaggi che debbono essere tenuti in considerazione.

Il piano di risanamento non assicura la prededuzione alla cosiddetta nuova finanza,  garantisce protezione dalle eventuali iniziative di autotutela dei creditori; infine la protezione offerta dai piani di risanamento ai fini della revocatoria, appare meno sicura di quella prevista, per esempio, per gli accordi di ristrutturazione ex articolo 182 bis l.f. che si concludono con un provvedimento di omologazione del Tribunale che in qualche modo suggella la fattibilità del piano.

In caso il fallimento consegua ad un tentativo (maldestro) di risanamento ex art 67 l.f. il giudice dovrà verificare ex post la resistenza del requisito della “fattibilità” del piano di cui la cronaca avrà già registrato la bocciare perché evidentemente inadeguato, con il rischio della complessiva tenuta della esenzione da revocabilità degli atti, pagamenti e garanzie poste in essere in esecuzione del piano.

2. La convenzione di moratoria

Il D.L. 83/2015 convertito nella Legge 6/8/2015 n 132 ha arricchito il tema del piano attestato con alcune novità degne di considerazione.

Innanzitutto l’art 182 septies 5° comma l.f. ha introdotto la c.d. convenzione di moratoria che consiste in un accordo stretto con banche o intermediari finanziari avente ad oggetto una moratoria temporanea dei crediti.

L’accordo raggiunto con la maggioranza del 75% delle banche od intermediari finanziari raccolti in una o più ”Categorie”, distinte per posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, produce effetti anche nei confronti delle banche e intermediari finanziari non aderenti.

La grande rivoluzione copernicana è stata l’introduzione di una deroga al dogma dell’effetto del contratto confinato alle sole parti che lo stipulano previsto dagli artt. 1372 e 1411 c.c.

L’estensione degli effetti della convenzione della moratoria è condizionata: a) all’informativa a tutti gli interessati dell’avvio delle trattative mettendoli in condizioni di parteciparvi in buona fede e b) all’attestazione ad opera di un professionista indipendente (secondo i requisiti di cui all’art 67 l.f.) dell’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici tra i creditori interessati dalla moratoria.

Tali requisiti sono oggetto di controllo da parte del Tribunale chiamato ad un intervento solo eventuale in caso di opposizione da parte di un creditore non aderente.

Data la natura extracontrattuale di tali accordi è parso naturale porli in relazione al piano attestato ex art 67 l.f. anche se non ne è esclusa l’autonomia in tutti i casi in cui la loro esecuzione non presupponga “atti, pagamenti, garanzie” da porre in sicurezza rispetto alla revocatoria fallimentare.

Tali convenzioni, oltre che per il fondamentale requisito coercitivo verso i non aderenti, si distinguono dal piano ex art 67 l.f. per tre ulteriori elementi:

  • mentre il piano attestato ha un contenuto libero e può presupporre anche più accordi tanti quanti sono gli interlocutori interessati, la convenzione di moratoria è un accordo vincolato che deve riguardare in modo uniforme tutti coloro che rientrano nella stessa “categoria”.
  • Inoltre il piano attestato può prevedere l’erogazione di nuova finanza mentre la convenzione di moratoria esclude categoricamente la possibilità di prestazioni nuove, fatta eccezione per la continuità nel godimento di beni in leasing.
  • Infine per la convenzione di moratoria a differenza del piano attestato non è neppure prevista una sua pubblicazione nel registro imprese

In ogni caso al di là di queste distinzioni che debbono essere sottolineate, pare che nulla impedisca ad una convenzione di moratoria di essere assorbita in un piano attestato più articolato volto a disciplinare anche altri aspetti della crisi finanziaria con gli enti creditizi.

3. Gli incentivi fiscali

Il legislatore ha introdotto delle leve fiscali volte ad incentivare il ricorso alla soluzione stragiudiziale della crisi:

Con il D.L.27/06/2015 n 83 convertito con modificazioni dalla L 6/8/2015 n 132 ha modificato l’art 106 TUIR introducendo la possibilità per gli enti creditizi e finanziari di cui al d.lgs 87/1992 la deducibilità integrale delle svalutazioni e delle perdite su crediti verso la clientela iscritti in bilancio, con onere di dedurli nell’esercizio in cui le perdite sono rilevate in bilancio1

Attraverso il D.lgs 14/09/2015 n 147 il legislatore ha previsto che la deducibilità delle perdite su crediti possono conseguire all’iscrizione al registro imprese di un piano attestato ai sensi dell’art 67 l.f.

Con la legge di stabilità 2016 al comma 126 dell’articolo unico è stata prevista la possibilità per il creditore di emettere una nota di variazione IVA in caso di mancato pagamento integrale del credito di beni o servizi per i quali era stata emessa la relativa fattura, estendendo i casi di applicazione dell’agevolazione all’iscrizione al registro imprese del piano attestato che preveda la rimessione (totale o parziale).

Tali novità a favore dei creditori si aggiungono a quelle offerte al debitore che ai sensi dell’art 88 TUIR potrà non considerare sopravvenienze attive quelle conseguenti alle riduzioni dei debiti dell’impresa a seguito di un piano di risanamento ex art 67 l.f. con evidenti sgravi fiscali a suo favore.

Questi interventi sono chiaramente orientati ad agevolare la soluzione della crisi attraverso il ricorso a forme di regolazione negoziale che non prevedano, se non in fase eventuale, l’intervento del Tribunale, con un effetto da un lato deflattivo del ricorso a soluzioni giudiziali della crisi e dall’altro anticipatorio dei fattori di crisi e di conflittualità che sempre di più troverà cittadinanza nel nostro ordinamento anche nella difficile materia della soluzione della crisi d’impresa, come ha altresì indicato il presidente Rordorf nella relazione illustrativa del progetto legislativo di riforma dell’intera materia2.

4. Le novità penali

L’auspicato sempre maggiore ricorso alla soluzione stragiudiziale della crisi, ha indotto il legislatore, in via anticipatoria e preventiva, ad prefigurare un argine a possibili abusi di questi strumenti attraverso la previsioni di ipotesi nuove di reati che vedano coinvolti sia l’attestatore infedele che l’imprenditore disonesto.

L’art 236 bis l.f. ha infatti esteso al caso della convenzione di moratoria il reato di falsa attestazione commesso dal professionista infedele chiamato ad attestare l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici tra i creditori interessati dalla moratoria.

L’art 236 l.f. ha allargato alla convenzione di moratoria sia il reato commesso dall’imprenditore che allo scopo di ottenere il consenso da parte della maggiorana degli enti creditizi si attribuisca attività inesistenti o simuli crediti, sia in generale le fattispecie dei reati di bancarotta semplice o fraudolenta.

Poiché anche il piano attestato ex art 67 l.f., di cui come abbiamo visto la convenzione di moratoria è ancellare, si fonda su una attestazione di veridicità e fattibilità risulta non bilanciata la scelta del legislatore (dettata probabilmente dall’urgenza della decretazione che ha originato i nuovi reati) orientata a colpire solo la condotta dell’attestatore infedele (ex art 236 bis l.f.) e non anche quella dell’imprenditore che predisponga un piano di risanamento poggiato su false informazioni, ipotesi non contemplata dall’art 236 l.f.

  1.  In base alla disciplina previgente (rivista, da ultimo, dalla L. 147/2013), le svalutazioni e le perdite su crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo (al netto delle rivalutazioni), diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso, erano deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui erano contabilizzate e nei quattro successivi.
  2. Relazione allo schema di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali datata 29/12/2015.


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