Il sovraindebitamento del socio illimitatamente responsabile

Recentemente sono stati pubblicati un paio di decreti che hanno trattato in termini diversi il tema della fruibilità da parte del socio illimitatamente responsabile della procedura di sovraindebitamento.

Recentemente sono stati pubblicati un paio di decreti (del Tribunale di Milano in data 18/8/2016 e del Tribunale di Prato in data 16/11/2016) che hanno trattato in termini diversi il tema della fruibilità da parte del socio illimitatamente responsabile della procedura di sovraindebitamento.

Il giudice di Milano l’ha esclusa sulla considerazione che il socio illimitatamente responsabile oltre che soggetto fallibile, è responsabile anche di tutti i debiti della società, il che renderebbe incongrua la sistemazione della situazione debitoria dei soli propri debiti senza considerare quelli sociali.
Il giudice di Prato invece supera il problema della fallibilità affermando che in ogni caso, in ipotesi di fallimento, il curatore potrà acquisire l’attivo nel frattempo conservato a tutela dei creditori.

Quest’ultima pronuncia è preferibile in quanto propone un’interpretazione della normativa più aderente alle sue finalità.

La legge di composizione della crisi da sovraindebitamento costituisce una procedura c.d. cerniera in quanto permette a figure che ne sono state finora escluse, di raggiungere l’obiettivo dell’esdebitazione; dunque già soltanto per questo motivo accogliere tesi preclusive pare contrario allo spirito della legge che invece è volta ad includere quanto più possibile.

È infatti possibile che il socio patisca una situazione da sovraindebitamento in termini svincolati dalla situazione patrimoniale ed economica della società di cui è responsabile illimitatamente che può invece godere di ottima salute: in tale caso occorrerebbe attendere il (denegato) fallimento della società per permettere al socio debitore di conseguire il risultato dell’esdebitazione.

Non a caso la giurisprudenza (Cass. 13116/2004; Cass 4705/2006) impedisce di guardare all’insolvenza del socio per misurare quella della società (ad esempio in materia di revocatoria) in quanto anche di fronte ad una personalità giuridica imperfetta è alla società che occorre avere riguardo per la dichiarazione di fallimento o per la conoscenza della sua insolvenza ai fini revocatori.

All’obiezione del Tribunale di Milano secondo cui il patrimonio del socio illimitatamente responsabile è esposto ad una platea di creditori più estesa, comprendente anche quelli sociali, si può comunque opporre che detta responsabilità gode del beneficio d’escussione rispetto al patrimonio sociale che costituisce dunque il primo fronte al quale il creditore della società deve rivolgere lo sguardo.

Già queste brevi considerazioni inducono a ritenere che la tesi del Tribunale di Milano offra spazio a più ampie valutazioni volte a verificare la tenuta della legge di fronte allo stress di una situazione conflittuale di compresenza di un fallimento rispetto alla procedura da sovraindebitamento.

L’art 12 co5 della L 3/12 contempla espressamente l’ipotesi del fallimento del debitore sottoposto alla procedura de qua, con ciò lasciando intendere che situazioni conflittuali possono verificarsi.

In caso di dichiarazione di fallimento il legislatore ha previsto che la procedura di accordo di composizione della crisi si risolva di diritto immaginando una gerarchia in cui la procedura di sovraindebitamento è subalterna al fallimento.

Una possibile consecuzione di procedure è altresì rivelata dalla previsione che in caso di fallimento gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti ad azione revocatoria ex art 67 l.f., lasciando così intendere che la procedura “minore” debba cedere il passo a quella maggiore del R.D. 267/1942.

La gerarchia rispetto al fallimento non viene riproposta nel piano del consumatore la cui disciplina non richiama l’art 12 co5 della L 3/12 (in ordine all’accordo); l’assenza tuttavia, oltre a poter essere addebitabile ad una semplice dimenticanza (in quanto non si riviene nessuna logica di sistema contraria), può essere superata con l’art 14 bis co 2 b) in cui si prevede che il Tribunale dichiara cessati gli effetti dell’omologazione del piano del consumatore quando la sua esecuzione diviene “impossibile anche per ragioni non imputabili al debitore”, e senza dubbio il fallimento costituisce una ragione di impossibilità di esecuzione.

Peraltro il rischio di fallimento del socio può essere verosimilmente circoscritto all’anno dalla cessione della partecipazione alla società di cui il gestore della crisi, che assiste il debitore nella predisposizione della domanda, è ragionevole che raccomandi l’esecuzione proprio per evitare possibili futuri contaminazioni di procedure o possibili ragioni di revoca.

Nel caso in cui invece il debitore accedesse alla procedura di liquidazione (la terza di quelle disciplinate dalla legge 3/2012), non si vede cosa possa impedirne l’interruzione in caso di fallimento, con la conseguente acquisizione dell’attivo patrimoniale al fallimento e la distribuzione del suo ricavo a vantaggio di una platea più vasta di creditori (quelli sociali) che certamente non possono considerarsi danneggiati dalla precedente procedura di sovraindebitamento così come non lo sarebbero stati da altre procedure esecutive attraverso le quali i creditori personali avessero aggredito i beni del sovraindebitato (e ciò proprio in virtù del principio, sopra richiamato, che l’insolvenza del socio non è espressione di quella della società).
Nella linea interpretativa proposta, il socio illimitatamente responsabile che avesse avuto accesso al sovraindebitamento potrebbe comunque richiedere la propria esdebitazione o attraverso l’istituto dell’art 14 terdecies L 3/2012 oppure, in caso di fallimento, attraverso l’art 142 l.f lasciando inalterato il raggio delle sue prerogative di debitore.

Come notazione conclusiva si ritiene che il favore verso l’interpretazione inclusiva della legge pare essere altresì alimentata dalla S.C. che (con la sentenza n 14147/2016) si è pronunciata sulla compatibilità della procedura da sovraindebitamento del consumatore con l’obbligo di assolvere a debiti IVA e ritenute, tipiche obbligazioni contratte nell’esercizio dell’attività di impresa o professionale e che dunque a molti sono sembrate in conflitto con la definizione stessa di consumatore (i cui debiti debbono essere invece estranei agli scopi dell’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta).

Ebbene la Cassazione ha sostenuto che la nozione di consumatore non esclude coloro che esercitino o abbiano esercitato attività di impresa o professionale purchè al momento della presentazione del piano non residuino obbligazioni assunte nell’esercizio di dette attività.
Mutatis mutandis, dunque, è lecito sostenere che la nozione di sovraindebitato non escluda il socio illimitatamente responsabile di una società di persone, a condizione che i debiti che vengono portati nella procedura non attengano alla società ma solo alla sua situazione personale.


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