La composizione della crisi da sovraindebitamento

La Cassazione si è espressa sul tema della responsabilità dell’amministratore delegante restringendone l’ambito alla violazione della diligenza richiesta in base alla natura dell’incarico e alle competenze specifiche del delegante, che deve agire in modo informato ma svincolato (ed in questo sta la novità) dall’obbligo di vigilanza sull’operato dei delegati, salvo che dalle informazioni ricevute sorgano segnali di allarme e di pericolo.

L’indifferenza che aveva accompagnato il suo ingresso nel mondo economico è stato scosso dal D.M. 202/2014, entrato in vigore nel 2015, che ha prescritto i requisiti per la costituzione degli organismi di conciliazione della crisi ovverosia dell’organo attorno cui è stata costruita la normativa volta a dettare regole per il superamento e la composizione delle c.d. crisi minori.

L’organismo della Composizione della Crisi (definito attraverso l’acronimo OCC) è un’articolazione di un ente pubblico che può sorgere da un organismo di conciliazione delle CCIAA, da un ordine professionale di Notai, Avvocati o Dottori commercialisti, o con maggior impegno formativo anche da un ente pubblico territoriale.

La sua spiccata natura pubblicistica lo pone come soggetto indipendente capace di costituire il punto di convergenza delle necessità del debitore di cui è consulente, dei creditori, di cui è garante, e dello stesso giudice del quale è indispensabile collaboratore nella gestione della procedura.

L’OCC oltre a svolgere compiti che nelle procedure c.d. maggiori (concordato e fallimento) sono di appannaggio a figure che si pongono in affiancamento del giudice, viene investito anche di incarichi che sono normalmente svolti in via fiduciaria sulla base di un mandato conferito dal debitore, quali la verifica dei dati attinenti l’attivo e il passivo, l’attestazione della fattibilità del piano, la liquidazione dei beni.

I primi OCC si stanno costituendo presso gli enti preposti alla loro costituzione (l’ordine degli avvocati di Milano sta inaugurando il primo corso di formazione dei gestori della crisi) e la prima formazione dei soggetti deputati a gestire materialmente le crisi feconderà la cultura volta ad appropriarsi di questo strumento di superamento della crisi che si rivolge a tutte le insolvenze che non trovano sbocco nel fallimento e (conseguentemente) nelle altre procedure concorsuali.
Da sempre (e senza dubbio dal 1942 anno a cui risale la legge fallimentare) il legislatore si è occupato solo della crisi dell’impresa, preoccupato degli effetti negativi che la sua contaminazione potesse riflettere sulla salute del mercato che poggia sulla fiducia del credito di cui l’insolvenza costituisce il velenoso avversario.

La storia economica recente che ha assistito ad una delle più gravi e pericolose crisi del sistema economico verificatesi in periodo di pace, ha rivelato l’esistenza di una nuova ed inattesa fragilità che richiedeva l’intervento del legislatore per offrire una tutela inaspettata rivolta allo stesso debitore.

Il soggetto che da sempre è stato additato come il monatto del mercato, da isolare attraverso la creazione di cinture sanitarie che evitassero la contaminazione della lesione del credito, tutt’assieme veniva ad essere indicato come un soggetto da proteggere.

La ragione di questa inversione copernicana nel processo della logica trova origine nella constatazione che la crisi economica globale aveva spazzato via dal mondo emerso dell’economica un gran numero di soggetti che, se reintrodotti, sarebbero stati capaci di aiutare l’economia stessa favorendo il vantaggio sociale.

A ciò si aggiunga che per la prima volta nella storia, l’insolvenza ha investito soggetti che non svolgevano attività compatibili con il rischio di sovraindebitamento in quanto conducevano una vita o assolutamente lontana dal rischio d’impresa o con un accostamento molto moderato traendo profitto dalle attività liberali o di lavoro autonomo.

Pensiamo al professionista, alla piccola impresa artigiana, al semplice consumatore, soggetti schiacciati dalla crisi e dunque incolpevolmente caduti nel fenomeno dell’insolvenza senza alcuna diretta responsabilità se non quella di aver contratto debiti (di natura personale, come un mutuo per l’acquisto della casa o dell’auto, o anche legati all’attività) sul ragionevole presupposto che la propria condizione patrimoniale-economica avrebbe permesso di assolverli in via ordinaria, mentre la successiva esperienza di insolvenza che avrebbero dovuto vivere, rendeva tutti quegli impegni finanziari una traguardo irraggiungibile in assenza di una regolarità economica.

Dunque la legge di composizione della crisi da sovraindebitamento si propone di recuperare al mondo economico un cospicuo numero di soggetti che ne era ormai da tempo emarginato, offrendo loro l’opportunità di definire la situazione debitoria che li obbliga a vivere nella dimensione sommersa dell’economia, senza un conto corrente, una carta di credito o un qualsiasi strumento di pagamento elettronico, permettendogli di rioccupare un posto nel mondo dell’economia emersa in cui possono nuovamente assumere debiti e accantonare reddito senza la necessità di perenne fughe da un monte debiti capace solo di alimentare se stesso.
Il tema è di tale interesse sociale che non appena si attiveranno gli strumenti di naturale diffusione culturale di cui si renderanno spontaneamente principali diffusori gli ordini professionali, è prevedibile che da parte del cittadino insolvente si avvii la corsa ad avvalersi di questo strumento.

In rete è peraltro diffusa la disinformazione alimentata da chi ha interesse a fornire informazioni equivoche per finalità opache; i nuovi istituti sono recenti solo di formazione ma si alimentano di principi anziani e consolidati nel nostro ordinamento che consentono al debitore di pervenire alla esdebitazione totale a condizione che il sacrificio economico che chiede ai suoi creditori non sia inferiore al proprio mettendo a disposizione le intere sue sostanze patrimoniali e reddituali per raggiungere il traguardo del soddisfacimento anche minimo ma collettivo di tutti i creditori.
In presenza di astuzie (che il legislatore definisce “frodi”) volte a trarre dall’istituto vantaggi per sé a danno dei creditori, il debitore subirà soltanto un procedimento di liquidazione di tutto il patrimonio senza la possibilità di sfuggire in futuro alle nuove esecuzioni poste in essere da coloro che non sono rimasti interamente soddisfatti.


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