La domanda di concordato proposta dopo la decisione sull’istanza di fallimento
Massima
La domanda di concordato preventivo proposta dopo la decisione sull’istanza di fallimento, ma prima della pubblicazione della relativa sentenza dichiarativa, è inammissibile, atteso che il momento della pronuncia di quest’ultima va identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre la successiva stesura della motivazione, la sottoscrizione e la conseguente pubblicazione (da cui decorrono gli effetti della sentenza) non incidono sulla sua sostanza, né il fallendo può pretendere la revoca di una decisione già assunta e la retrocessione del processo alla fase istruttoria a seguito della tardiva presentazione di una domanda concordataria su cui il collegio non è più tenuto a statuire.
Il caso
La Corte d’appello di Catania ha respinto il reclamo proposto da un debitore dichiarato fallito il quale lamentava che il tribunale aveva respinto, con pronuncia di inammissibilità, la domanda di concordato depositata ex art. 161, comma 6, l.fall. pendente la domanda di fallimento, reclamando la sospensione del procedimento e l’introduzione della procedura concorsuale alternativa.
La C. Appello ha accertato che la debitrice aveva depositato la domanda di concordato con riserva nelle more tra l’udienza in cui il giudice delegato aveva riferito della causa al collegio e la data di pubblicazione.
La Corte di Cassazione ha a propria volta respinto con ordinanza il ricorso assumendo che, una volta intervenuta la deliberazione della causa, viene meno ogni obbligo da parte del giudice di riesaminare la decisione, e che il debitore fallendo non può pretendere che la decisione già assunta sia revocata.
Le questioni giuridiche
Il contesto di riferimento ed i principi affermati dalla sentenza di Cassazione.
La pronuncia in commento si inserisce nel solco tracciato dalle due principali sentenze di Cassazione SS.UU. n 1521/2013 e 9935/2015 che hanno fissato i confini tra la domanda di concordato e quella di fallimento, attribuendo priorità alla prima.
Con la sentenza n 1521/2013 la Corte di Cassazione aveva affermato che, venuto meno il principio di pregiudizialità necessaria del concordato che si riteneva ancorato all’inciso presente nel corpo del primo comma dell’art 160 l.fall. che permetteva l’ammissione della procedura di concordato “fino a che il suo fallimento non è dichiarato” e ritenuto inapplicabile l’istituto della sospensione in ragione della sua eccezionalità che ne permette l’applicazione solo “quando la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata” (così Cass 1 ottobre 2010, n 14670), il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggia come un fenomeno di conseguenzialità logica tra le due procedure che prevede l’intervento eventuale del fallimento all’esito negativo della procedura di concordato.
La successiva ordinanza di Cassazione 30 aprile 2014, n 9476 aggiunge che “l’esigenza di coordinamento tra le due procedure è ricavabile dal sistema il quale attribuisce al concordato preventivo la funzione di prevenire appunto il fallimento attraverso una soluzione alternativa basata sull’accordo del debitore con la maggioranza dei creditori”.
Tale funzione preventiva comporta che prima di dichiarare il fallimento debba necessariamente essere esaminata l’eventuale domanda di concordato presentata dal debitore per far luogo poi alla dichiarazione del fallimento solo in caso di mancata apertura della procedura minore.
Quindi la dichiarazione di fallimento presuppone sempre il previo esaurimento del procedimento di concordato: questo orientamento si ricava dalla lettura degli artt. 162, 173, 169 e 180 l. fall. che pospongono la dichiarazione di fallimento, rispettivamente, al provvedimento di inammissibilità della domanda di concordato, alla revoca dell’ammissione alla procedura, alla mancata approvazione della proposta e alla mancata omologazione, rivelando come la procedura di concordato sia sempre premiata nel concorso con la richiesta di fallimento avanzata dai creditori o dal P.M.
Ma poiché non esiste nel sistema un principio di pregiudizialità tra le due procedure né è applicabile la sospensione a carico della procedura fallimentare, nulla vieta che questa prosegua nell’istruttoria concludendosi anche con una pronuncia di rigetto; ciò che non è possibile è che il fallimento venga dichiarato in presenza di una domanda di concordato, circostanza che si porrebbe in contrasto con l’assegnazione non discrezionale del termine di 60 gg. per la presentazione del concordato allo scopo di prevenire il fallimento come voluto dall’art 161, comma 10, l. fall.
La sentenza di Cassazione a SS. UU. 15 maggio 2015 n. 9935 ha infine risolto la questione del conflitto ricercando nel codice di rito la soluzione, che ha trovato grazie all’applicazione dell’istituto della continenza, la qualericorre non solo quando tra le due cause vi sia identità di soggetti, titolo e una differenza quantitativa dell’oggetto, ma anche quando sussista un rapporto di interdipendenza come nel caso in cui siano prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande in relazione di alternatività (c.d. continenza per specularità).
In forza di tale principio processuale allorchè i due procedimenti pendono innanzi allo stesso giudice si deve provvedere alla loro riunione ai sensi dell’art. 273 c.p.c. (Cass. 23 settembre 2013 n. 21761).
Con l’ordinanza n. 17156/2016 la Cassazione ha risolto infine l’ulteriore questione del termine entro cui poter rilevare la compresenza dei due procedimenti concorrenti al fine della dichiarazione della loro continenza indicando nella intervenuta decisione del procedimento di fallimento il termine ultimo per la rilevazione della continenza, indipendentemente dalla successiva pubblicazione della relativa decisione.
La pronuncia è coerente con la giurisprudenza precedente in quanto, nel rispetto dell’autonomia dei procedimenti, non è possibile pervenire ad una decisione di revoca della dichiarazione di fallimento la cui pronuncia abbia anticipato il deposito della domanda di concordato da parte del debitore.
Il principio di continenza in base al quale deve essere risolto il conflitto, con priorità logica affidata al procedimento di concordato, può essere applicato solo ove i due procedimenti siano pendenti e quello di fallimento non sia stato ancora deciso in quanto, successivamente, la procedura di concordato, che costituisce una semplice esplicazione del diritto di difesa del debitore, non può più trovare spazio.
Osservazioni
La sentenza in commento completa il pensiero della Cassazione sul rapporto tra le due procedure concorsuali fornendo indicazioni sul momento ultimo in cui la domanda di concordato può essere introdotta con effetti paralizzanti del procedimento di fallimento.
Nella fattispecie esaminata dalla S.C. il debitore aveva depositato la domanda di concordato ampiamente dopo la pronuncia di fallimento (due giorni dopo) anche se prima della pubblicazione della relativa sentenza; secondo il principio espresso dalla Corte di Legittimità il termine ultimo per proporre la domanda di concordato è invece quello della pronuncia di fallimento.
Il combinato disposto dell’art 161, comma 10, l. fall. (che vieta la pronuncia di fallimento una volta depositata la domanda di concordato) e dell’art. 22, comma 1, l. fall. (richiamato proprio dall’art. 161, comma 10, l. fall. secondo cui il tribunale può comunque concludere l’istruttoria prefallimentare al fine di pronunciarne il rigetto), aiuta a concludere che l’ultimo momento utile per il deposito della domanda di concordato sia quello anteriore all’effettiva pronuncia della dichiarazione di fallimento, in quanto l’autonomia dell’istruttoria prefallimentare può legittimamente condurre al rigetto del fallimento mentre il deposito della domanda di concordato ne impedisce la pronuncia.
Secondo la dottrina (Satta, Commentario al codice di procedura civile, vol II, 310, Milano 1966) e la giurisprudenza (Cass. 19 marzo 1981, n. 1629), la riunione tra più procedimenti può essere disposta fino a quando uno di loro sia stato rimesso al collegio, purchè non sia intervenuta decisione nel merito.
La giurisprudenza qualifica il provvedimento di riunione come obbligatorio (Cass. 2 giugno 2000 n. 7377). Fissati questi punti, si possono analizzare i pochi casi in cui l’ordinanza in commento ha trovato applicazione, rappresentati dal decreto 27/04/2017 del Tribunale Asti e dal decreto 24/07/2017 del Tribunale di Vercelli.
Nel primo caso (Tribunale Asti) il provvedimento dà atto che la domanda ex art 161 l. fall. è stata depositata una settimana dopo l’udienza di chiusura della procedura prefallimentare e “a seguito della relazione al Collegio”; nel secondo caso il decreto di inammissibilità dà atto che la domanda è stata rivolta al tribunale dopo l’udienza prefallimentare ma prima che il giudice designato riferisse al Collegio per la decisione. Entrambi i tribunali rilevano la tardività della domanda di concordato depositata dopo la chiusura dell’istruttoria prefallimentare che, secondo la pronuncia di Cassazione richiamata, ne determinerebbe appunto l’inammissibilità.
In realtà, la Cassazione pare dire altro rispetto a quanto raccolto dai due tribunali che la citano; ricordiamo infatti che, nel caso deciso dalla Cassazione, il debitore aveva depositato la domanda di concordato “non solo dopo che l’istruttoria prefallimentare era stata dichiarata chiusa, ma persino dopo che il collegio aveva già deciso sull’istanza di fallimento e dunque allorchè non c’era alcun altro procedimento pendente”.
Data l’autonomia delle procedure che permette, in base all’art 22, comma 1, l. fall. anche di concludere l’istruttoria prefallimentare allo scopo di decidere per il rigetto del fallimento, la chiusura della procedura fallimentare non costituisce di per sé elemento ostativo alla domanda di concordato, il cui momento ultimo è rappresentato dalla decisione sull’istanza di fallimento in assenza di altra proposta del debitore di risolvere la crisi aziendale con strumenti alternativi al fallimento.
Peraltro, sino alla decisione, il collegio è chiamato a disporre la riunione tra la domanda di fallimento e quella di concordato di cui fosse a conoscenza anche se depositata nelle more tra l’udienza prefallimentare e la decisione del collegio.
D’altra parte mentre esiste norma processuale che obbliga il collegio a disporre la riunione con altri procedimenti, non ne esiste alcuna che fa risalire alla chiusura della udienza prefallimentare gli effetti della sentenza: nessun dubbio viene infatti nutrito circa il fatto che il collegio avrebbe potuto riunire al procedimento principale altre domande di fallimento depositate autonomamente da altri creditori; allo stesso modo il tribunale fino alla decisione avrebbe potuto riunire alla domanda di fallimento quella di concordato proposte dal debitore con le decisioni conseguenti in termini di conseguenzialità logica, attesa la priorità da assegnare alla procedura di concordato rispetto a quella di fallimento.
Conclusioni
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha indicato nel momento in cui viene dichiarato il fallimento il termine ultimo per riunire la domanda di fallimento a quella depositata dal debitore ex art. 161, comma 6, l. fall. in quanto ogni successivo momento (fino a quello della pubblicazione) costringerebbe il collegio ad un provvedimento di revoca di un provvedimento già adottato.
Non sembra invece che possa condividersi l’interpretazione offerta dalle corti di merito di arretrare il termine ultimo per il deposito della domanda di concordato a quello precedente la chiusura della procedura prefallimentare, in quanto questa, in ragione della propria autonomia, può ancora condurre ad una decisione di rigetto del fallimento senza impedire il deposito di una valida domanda di concordato ex art 161, comma 6, l. fall. ostacolata solo dalla decisione di fallimento.
Pertanto le decisioni che arretrano alla chiusura dell’istruttoria il termine ultimo per esaminare la domanda di concordato attribuiscono alle parole del giudice di legittimità un significato che non sembra ricavarsi dal testo della pronuncia e che pare anche in contrasto con l’orientamento di attribuire sempre priorità alla forma alternative di soluzione della crisi proposte dal debitore, con l’unico limite dell’accertamento dell’abuso del diritto.
Guida all’approfondimento
Sulla sentenza della Cassazione, SS.UU., 15 maggio 2015 n. 9935, cfr. Ferro Massimo “Rapporti fra concordato preventivo e istruttoria prefallimentare: pregiudizialità e limite dell’abuso del processo” in Fall. 2015; De Santis Francesco “Principio di prevenzione ed abuso della domanda di concordato: molte conferme e qualche novità dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione” in Fall. 2015; Pagni Ilaria, “I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare dopo le Sezioni unite del maggio 2015”, 2015; F. Lamanna, “La retromarcia delle SS.UU. sull’ipotizzata abrogazione del principio di prevenzione/prevalenza del concordato preventivo rispetto al fallimento: come non detto, il principio ancora esiste”, in questo portale; Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1966.