Pegno non possessorio: la creazione di un privilegio alle banche

La soluzione proposta è così evidente e coerente da fa venire alla memoria la fiaba di Andersen: “I vestiti nuovi dell’imperatore” nella quale si narra che solo la voce autentica e pura di un bambino riusciva a squarciare il velo dell’ipocrisia.

La Stampa ha dato risalto alla notizia che il c.d. Decreto Banche, approvato il 29/4/16, assieme ad importanti misure volte a contenere il danno patito dagli obbligazionisti dei quattro istituti di credito in default (BancaMarche, BancaEtruria, CariFerrara, CariChieti), ha introdotto a favore degli istituti finanziari una nuova figura di garanzia reale denominata “pegno non possessorio”.

Detta forma di garanzia si caratterizza per essere circoscritta al mondo dell’impresa, per essere rivolta unicamente alle banche ed intermediari finanziari e per avere ad oggetto solo beni mobili destinati all’esercizio dell’impresa (con esclusione dei beni mobili registrati); richiede la forma scritta ma non lo “spossessamento” che, nel pegno tradizionale, è previsto a scudo di sostituzioni del bene a danno di altri creditori.

La novità era già stata raccomandata dalla commissione Rordorf incaricata di disegnare la riforma sistematica delle procedure concorsuali ed in tale ottica va dunque principalmente valutata.

L’invito della commissione è stato raccolto dal disegno di legge (presentato alla Camera dei Deputati in data 11/3/16) volto a conferire delega al governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza che, all’ art. 11, dispone per l’appunto che la emananda legge di riforma introduca “forme di garanzia mobiliare senza spossessamento” di cui dunque quella inserita nel recente decreto costituisce un’anticipazione.

La nuova forma di garanzia è propagandata come un beneficio per le imprese volto a favorire il più agevole accesso al credito.

Il connotato caratteristico dell’eliminazione dell’attuale regola che prescrive lo spossessamento del costituente il pegno, ha il significato di permettere l’estensione del privilegio speciale ad una quantità illimitata di beni dell’imprenditore fino ad ora non raggiungibili da tale forma di garanzia, in quanto lo spossessamento avrebbe comportato la sottrazione di detti beni dal loro impiego nel processo produttivo.

L’impossibilità strutturale dell’estensione del pegno ai beni mobili dell’imprenditore consegnava tali beni alla garanzia del credito portato da figure costituzionalmente considerate deboli nel rapporto economico con l’imprenditore perché connotate da assenza o minor propensione al rischio e per ciò meritevoli di alterare a proprio favore il principio di uguaglianza che deve regolare tutti i rapporti economici.

Tali figure portatori di privilegi economici nella riscossione del credito sono (non esaustivamente): i dipendenti, i professionisti, gli agenti di commercio, gli artigiani, le società cooperative agricole, gli enti previdenziali ed assistenziali e lo Stato per le imposte erariali.

Di tale posizione di vantaggio le banche non avevano di certo bisogno per una serie di ragioni evidenti quali il fatto che un istituto di credito per la sua struttura e la sua organizzazione si ritiene abbia, rispetto ad altri soggetti, la possibilità di conoscere l’effettiva situazione dei propri clienti e di monitorare il loro stato di salute economica assai prima ed assai meglio riuscendo così per tempo a predisporre contromisure adeguate a tutela del proprio credito.

Inoltre gli istituti finanziari difficilmente erogano credito senza la concessione di garanzie reali fornite dallo stesso imprenditore o da terzi fideiussori, circostanza che pone gli istituti di credito in una posizione di vantaggio inziale già assai rilevante rispetto agli altri creditori concorrenti.

La conseguenza dunque è sotto gli occhi di tutti: con l’introduzione di questa norma, divulgata come strumento per facilitare il credito alle imprese, il legislatore, pur senza privare le figure più deboli nel processo produttivo del privilegio di cui godevano, ha tuttavia sottratto il terreno su cui esercitarlo, il che è lo stesso, limitandone forzatamente l’ambito al solo magazzino per quelle poche imprese che ancora ne dispongono (in quanto per lo più attingono a quello “virtuale” on line).

Il momento tipico di riscossione di tale privilegio o garanzia è la procedura concorsuale in cui, al verificarsi dell’insolvenza dell’imprenditore, tutti i creditori siedono allo stesso banchetto per dividersi ciò che rimane dell’impresa, servendosi secondo l’ordine di privilegio loro assegnato.

A questo banchetto ora le banche siederanno con appetiti più voraci in quanto in virtù del pegno avranno un diritto di prelazione (e dunque di soddisfo privilegiato) su tutti i beni e macchinari dell’impresa coperti dal “pegno non possessorio” che sarà stato loro concesso “per favorire l’accesso al credito da parte dell’impresa”.

Occorre allora rispondere al quesito: avevano le banche necessità vitale di tale incentivo per rilasciare credito? È dubitabile.

Così come il fornitore consegna merce a credito sulla base del merito creditizio del proprio cliente, anche la banca dovrebbe concedere credito sulla base della validità dell’iniziativa imprenditoriale senza la necessità di allungare i propri artigli sull’intera impresa ai danni di una serie di figure economiche altrettanto indispensabili al processo produttivo che rischiano, come e più di lei, nello svolgimento dell’attività aziendale pur in assenza del sostegno dell’organizzazione, della posizione privilegiata da cui dominano ogni transazione commerciale e della forza negoziale da cui avviano i rapporti di concessione del credito.

In situazione di normalità economica, le banche hanno sempre concesso credito e nel passato anche in abbondanza (rendendosi corresponsabili dell’attuale crisi) senza necessità di avvantaggiarsi di così forti posizioni di dominio.

Questo provvedimento, al di là della finalità per la quale viene propagandato, si colloca nel solco, avviato già nel 2005 attraverso la sostanziale eliminazione della revocatoria bancaria, teso a porre l’istituto di credito in posizione sovrastante gli altri interlocutori economici dell’azienda sui quali, per via dell’assenza di pari capacità di raccogliersi in lobby organizzate ed efficienti, viene scaricato l’effetto della crisi dell’impresa, mentre a favore delle banche, che invece frequentemente dettano, attraverso la concessione abusiva del credito, i tempi dell’emersione della crisi, si ritagliano indebite posizioni di protezione economica.


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