L’accesso alla composizione negoziata della società insolvente e le concrete prospettive di risanamento

A cura dell’avv. Gianfranco Benvenuto. Alla stesura del contributo ha partecipato l’avv. Giulia Greco..

Fonte: Corte d’Appello di Trieste, sez. II, Cons. Rel. Dott. Berardi, Pres. Dott. Caparelli, sentenza del 22 maggio 2024

Massima
La Corte d’Appello di Trieste revoca la liquidazione giudiziale dichiarata dal Tribunale nonostante l’indiscussa insolvenza della debitrice sull’assunto che la procedura di composizione negoziata – se pur avviata a seguito del deposito della domanda di liquidazione e della celebrazione della prima udienza di cui all’art 40 comma 10 ccii –  impedisca l’apertura della liquidazione giudiziale. La Corte ritiene che militino in favore di tale lettura: la neutralità dell’art. 12, comma 1, ccii rispetto ad entrambe le opzioni ermeneutiche (debitore in crisi o in stato di insolvenza); l’assenza di filtri all’accesso dell’imprenditore insolvente alla nomina dell’esperto; la sterilizzazione ex lege (art. 12, comma 3, ccii) dei poteri del PM alle iniziative ex art 38 ccii; ed inoltre l’art 25 quinquies ccii per cui l’accesso alla composizione negoziata è impedito dalla pendenza del procedimento introdotto con ricorso ai sensi dell’art. 40 ccii, ma solo con riferimento al ricorso presentato dal debitore stesso e non da terzi, atteso che l’art 17 comma 3, lett. d), ccii prevede tra le dichiarazioni da rilasciare a corredo dell’istanza una chiara distinzione tra i “ricorsi per l’apertura della liquidazione giudiziale” dei quali dichiarare l’eventuale pendenza e i “ricorsi ai sensi dell’articolo 40 ccii” da attestare di non aver depositato.

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La Corte d’Appello di Trieste riforma la sentenza n. 14/2024, emessa dal Tribunale di Udine e pubblicata il 7 marzo 2024, con la quale il giudice di primo grado aveva dichiarato l’apertura della liquidazione giudiziale di una società che aveva depositato l’istanza per la nomina dell’esperto indipendente nel contesto di una composizione negoziata della crisi (di seguito anche CNC) a seguito della presentazione della domanda di liquidazione giudiziale proposta dai creditori e successivamente alla prima udienza.

Il Tribunale, verificati i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dal codice della crisi per l’apertura della procedura concorsuale, rigettava la richiesta di sospensione della procedura di accertamento dello stato di insolvenza in forza dei seguenti argomenti:

  1. la pendenza della procedura per l’apertura della liquidazione giudiziale rappresenta un impedimento al deposito dell’istanza ex art. 17 ccii in quanto l’art 25 quinquies ccii non opera una distinzione tra ricorsi avviati ad iniziativa del debitore o di altri soggetti, negando l’accesso alla composizione negoziata in entrambi i casi;
  2. l’accesso alla composizione negoziata della crisi deve ritenersi precluso in pendenza di una situazione di conclamata insolvenza;
  3. giusta applicazione dell’art. 40, comma 10, ccii, nel caso di pendenza di un procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è suscettibile di sospensione unicamente ove il debitore abbia depositato entro la prima udienza una domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza.

Giunta la questione in appello, la Corte triestina dichiara di aderire ad un diverso orientamento, accolto peraltro anche dal Tribunale di Bologna (provvedimento n. 140/2024 del 21/03/2024), che ha dato evidenza a diversi spunti normativi rinvenibili nel codice della crisi medio tempore applicabile e che militano in favore della possibilità per il debitore insolvente di accedere alla composizione; trattasi del tenore letterale dell’art. 12, comma 1, ccii, che appare neutro rispetto alla possibilità di accesso alla CNC da parte dell’imprenditore insolvente ed esclude l’applicazione dell’art 38 ccii dal suo raggio d’azione; infine ricorda come l’art. 21 terzo capoverso del primo comma ccii si esprime proprio sul contegno che deve tenere l’imprenditore insolvente la cui applicazione non può relegarsi alle sole ipotesi di insolvenza sopravvenuta.

La sentenza della Corte d’Appello, emessa il 22 maggio 2024 letta alla luce del D.Lgs 136/2024, rivela come molte delle corti di merito abbiano anticipato i chiarimenti contenuti nel correttivo.

Sino al momento in cui hanno visto la luce le prime bozze del terzo correttivo erano infatti emersi in giurisprudenza due orientamenti tra loro divergenti:

a) secondo un primo orientamento l’art. 25 quinquies ccii imporrebbe unicamente il divieto di accesso alla composizione negoziata alle sole ipotesi in cui il debitore abbia in precedenza presentato domanda di liquidazione giudiziale in proprio ovvero ricorso prenotativo ai sensi dell’art. 44 e ss ccii, chiesto le misure protettive che anticipano il deposito di un ricorso per l’omologazione di Adr ex art. 54, co 3, ccii o infine presentato una proposta di concordato minore, non potendosi applicare tale divieto ai casi in cui la domanda fosse stata presentata da un terzo (Tribunale di Bari, sent. del 30 maggio 2024, in dirittodellacrisi.it che rileva come “se, dunque, si muove dall’idea (della quale non v’è ragione di dubitare) che l’imprenditore in crisi ovvero insolvente può accedere, per sua libera scelta, alternativamente alla composizione negoziata o ad uno dei predetti strumenti di regolazione della crisi non si comprende per quale ragione l’accesso al primo istituto sarebbe precluso dalla preesistente pendenza di una procedura per l’apertura della liquidazione giudiziale a suo carico, mentre non gli sarebbe precluso proporre (purché entro la prima udienza ex art. 40 uc CCII) uno strumento di regolazione procedimentalizzato anche con una domanda prenotativa ex art.44 comma 1 lett. a)”; conformi, tra gli altri, anche Tribunale di Torre Annunziata, sez. III, dott.ssa Magliulo, decreto del 20 luglio 2023);

b) a tale lettura si era opposta altra parte della giurisprudenza che limitava l’accesso alla composizione anche all’ipotesi in cui il ricorso è stato depositato da un creditore o dai soggetti individuati dall’art. 37, comma 2, ccii (con una lettura piuttosto drastica si è espresso il Tribunale di Udine, decreto del 30 novembre 2023, in ilcaso.it, che ha statuito che “lo stato di insolvenza, ma a ben vedere anche lo stato di crisi di cui alla lett. a) dell’art. 2, comma 1, ccii preclude l’accesso alla composizione negoziata, e ciò anche quando sia ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa, ossia sia possibile perseguire la continuità aziendale anche in via indiretta, rimanendogli a disposizione in tal caso i soli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza di cui al Titolo III del ccii”; in termini meno stringenti, ma comunque conformi a questo secondo orientamento Tribunale di Lagonegro del 28 febbraio 2023 e 14 aprile 2023; Tribunale di Palermo del 22 maggio 2023; Tribunale di Busto Arsizio del 4 luglio 2023 e del 16 agosto 2023; Tribunale di Bergamo del 23 gennaio 2024).

La relazione illustrativa del terzo correttivo al codice della crisi dichiara apertamente di aderire al primo orientamento e proprio “per eliminare il dubbio sorto sulla possibilità di accedere alla composizione negoziata in pendenza dell’istanza di liquidazione giudiziale. Si chiarisce così l’intenzione del legislatore, sin dall’adozione del decreto legge n. 118/2021 che conteneva la medesima disposizione, di impedire la soluzione stragiudiziale della crisi tramite composizione negoziata solo nei casi in cui l’imprenditore abbia già intrapreso un percorso di ristrutturazione di tipo giudiziale (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e piano di ristrutturazione omologato) ma non quando pende una domanda di liquidazione giudiziale proposta dal creditore, dal Pubblico Ministero o dagli organi e le autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa”; è pertanto stata superata qualunque incertezza in merito alla sovrapponibilità contenutistica tra il precedente art. 23, comma 2, d.l. n. 118/2021 e l’attuale art. 25 quinquies ccii da cui può ricavarsi la possibilità di accedere alla CNC per “le imprese affette da insolvenza reversibile in cui la reversibità è da intendersi come la possibilità di rendere il debito sostenibile tramite stralci o proventi della dismissione di azienda” (Tribunale di Perugia, accoglimento misure protettive cron. n. 299/2024 del 15 luglio 2024).

Il legislatore sembra dunque voler riportare l’interprete alle origini dell’istituto della composizione negoziata dando evidenza al suo carattere di istituto negoziale in cui l’imprenditore è accompagnato nel suo percorso di risanamento da un esperto nominato da una commissione ad hoc presso la camera di commercio competente: nessun tribunale è chiamato a pronunciarsi in merito ai presupposti l’ammissibilità della domanda ed infatti l’art. 12 ccii ipotizza unicamente tra le condizioni per l’accesso alla composizione lo squilibrio, la probabilità di crisi o insolvenza (art. 2, comma 1, lett. b, ccii) e la possibilità di perseguire il risanamento dell’impresa, criteri in ogni caso bilanciati da una serie di contrappesi normativi posti dal codice della crisi ed, in primis, la possibilità per il giudice di revocare le misure protettive, consentendo quindi la decisione sull’istanza di liquidazione giudiziale (artt. 18, comma 4, ccii e art. 19, comma 4, ccii) al fine di inibire condotte abusive.

Il fulcro dell’istituto è pertanto rappresentato dalla risanabilità dell’impresa tanto che “l’accesso al procedimento di composizione negoziata della crisi, secondo l’opinione più attendibile, non è di per sé precluso dalla condizione di insolvenza dell’imprenditore ma dalla sua irreversibilità, come si desume dal rilievo che l’art. 17, comma 5, ccii, che prescrive la chiusura anticipata del procedimento di composizione stragiudiziale allorché l’esperto si persuada dell’assenza di concrete prospettive di risanamento (dell’irreversibilità degli squilibri finanziari, patrimoniali ed economici) e non invece quando sia ravvisabile una situazione di insolvenza” (Trib. di Lecco, 2 gennaio 2021, in dirittodellacrisi.it).

Concrete prospettive di risanamento la cui valutazione in prima battuta incombe, come detto, sull’esperto ai sensi dell’art. 17, comma 5, ccii (Tribunale di Torino, ordinanza del 11 aprile 2024, in dirittodellacrisi.it) e che devono intendersi come ragionevole probabilità che venga perseguito il risanamento aziendale tramite l’avvio di trattative con il ceto creditorio (Tribunale di Mantova, sez. civile, dott. Bernardi, provvedimento del 9 marzo 2023).

L’insolvenza dunque non pregiudica l’accesso alla composizione negoziata per la soluzione della crisi né tanto meno preclude l’applicazione o la conferma delle misure protettive e cautelari richiesta dall’imprenditore a patto che “tale condizione risulti coerente alle finalità recuperatorie dell’istituto e quindi reversibile mediante interventi di risanamento utili al ripristino della solvibilità, purché vi siano dunque elementi di risanabilità concreta e di reversibilità dell’insolvenza in base al piano di risanamento nell’ambito della CNC, anche eventualmente mediante interventi straordinari di esternalizzazione dei rami aziendali o apporti di finanza esogena” (Tribunale di Milano, sent. del 9 maggio 2023, in dirittodellacrisi.it).

Proseguendo nel ragionamento v’è da chiedersi a questo punto se le concrete prospettive di risanamento possano eventualmente cogliersi anche in una società in stato di liquidazione volontaria, interrogativo a cui all’indomani dell’entrata in vigore della normativa sulla composizione negoziata della crisi, introdotta con d.l. 118/2021, le corti di merito avevano ritenuto di rispondere negativamente sull’assunto che lo stato di liquidazione fosse di per sé incompatibile con la nozione di risanamento che ha quale presupposto la prosecuzione in continuità in condizione di equilibrio e che l’accesso da parte di una società in liquidazione alla composizione negoziata costituirebbe un ossimoro stante le finalità opposte e inconciliabili della CNC (il risanamento con prosecuzione dell’attività di impresa) e la liquidazione della società (finalizzata appunto alla cessazione dell’attività) (Tribunale di Bergamo, sentenza del 15 marzo 2022 in ilcaso.it).

Medesimo veto veniva imposto a piani meramente liquidatori (Tribunale di Ferrara, sentenza del 21 marzo 2022) sul presupposto che la liquidazione dell’attivo e il pagamento di creditori senza la ripresa dell’attività costituisse una dichiarazione espressa che la società difetta del presupposto per l’accesso alla procedura: la ragionevole probabilità di risanamento dell’impresa.

La giurisprudenza sviluppatasi successivamente ha invece ritenuto di cambiare rotta chiarendo che ad essere incompatibile con la composizione negoziata non è tanto lo stato di liquidazione societaria in sé e per sé considerato, quanto la sussistenza di un’insolvenza irreversibile e l’assenza di una concreta prospettiva di risanamento inteso come riequilibrio finanziario e patrimoniale che consenta all’impresa di restare sul mercato, se del caso previa revoca dello stato di liquidazione (Tribunale di Arezzo, sentenza del 16 aprile 2022, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it).

Per comprendere a pieno la portata del provvedimento occorre ribadire che secondo le più recenti pronunce il dovere «per gli amministratori al verificarsi di una causa di scioglimento ex artt. 2484, terzo comma, e 2485 c.c. di gestire la società ai sensi dell’art. 2486 c.c. allo scopo di conservare l’integrità e il valore del patrimonio sociale non implica il divieto di “nuove operazioni”, stabilito nella formulazione originaria dell’art. 2449 c.c. ma non riprodotto dall’attuale art. 2486 c.c., ciò in quanto anche le omissioni possono andare in detrimento dei valori dell’impresa onde anche dopo lo scioglimento societario gli amministratori hanno il “potere-dovere” di compiere quegli atti negoziali di gestione della società necessari al fine di preservarne l’integrità patrimoniale» (Corte d’Appello di Trento, Sez. Specializzata Impresa, sentenza del 07 luglio 2023, in dirittodellacrisi.it).

Premesso pertanto che esistono realtà in cui l’immediata liquidazione atomistica debba considerarsi meno conveniente per i creditori rispetto alla continuazione dell’attività se pur in ottica liquidatoria, deve concludersi che le concrete prospettive di risanamento, inscindibilmente legate alla prosecuzione dell’impresa, possano prospettarsi anche a seguito dell’apertura della liquidazione volontaria.

Lo stato di liquidazione di un’impresa o la predisposizione di un piano liquidatorio (anziché di continuità diretta o indiretta) da parte dell’impresa istante (in liquidazione o meno) non dovrebbero pertanto essere di per sé tali da impedire l’accesso alla CNC (o meglio determinare il rigetto da parte del Tribunale della conferma delle misure protettive eventualmente richieste). “Se il valore dei beni da liquidare, insieme ad eventuali altri attivi disponibili, accompagnato da uno stralcio, consente di predisporre un piano potenzialmente accettabile da parte dei creditori (o comunque che possa apparire come ragionevole punto di partenza di una trattativa) non dovrebbe esservi motivo di impedire lo svolgimento della trattativa (e quindi di negare la conferma delle misure protettive).

Tale dovrebbe essere certamente un piano che sia auspicabilmente migliorativo per tempi e/o valore rispetto ad una liquidazione giudiziale, ipotesi assai frequente tenuto conto anche della durata limitata delle trattative della CNC e delle lungaggini, inefficienze e incertezze dalla liquidazione giudiziale.

Per contro, lo stato di liquidazione dell’impresa richiedente protratto da tempo e l’esiguità del valore dei beni da liquidare e dell’attivo disponibile rispetto al debito complessivo dell’impresa ben possono essere elementi che il Tribunale, insieme alle altre circostanze rilevanti del caso, dovrà considerare ai fini di valutare se il ricorso alla CNC (accompagnato alla richiesta di misure protettive) da parte dell’impresa sia effettivamente da considerarsi abusivo ovvero meramente dilatorio” (Tribunale di Perugia, accoglimento misure protettive cron. n. 299/2024 del 15 luglio 2024).

La pronuncia del Tribunale di Perugia, in conclusione, sembra andare proprio al cuore del problema dando voce a letture già emerse di carattere finalistico della CNC che fissano il focus, non tanto sul punto di partenza della società al momento della presentazione di una CNC, quanto se possa essere ragionevolmente raggiunto il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa anche tramite i proventi provenienti dalla liquidazione dell’attività: unica interpretazione che allo stato sembrerebbe compatibile con l’ormai pacifica, anche alla luce di quanto emerge dal terzo correttivo del ccii, ammissibilità della composizione per l’imprenditore in stato di insolvenza reversibile già anticipata dalla sentenza in commento.

Conclusioni
La trattazione ha avuto quale file rouge la volontà di addentrarsi in ipotesi certamente controverse e al limite degli spazi concessi dal codice della crisi di accesso ad un percorso di composizione negoziale.

Certamente non si intende incentivare un utilizzo strumentale del percorso in composizione negoziata, ma al contrario sottolineare, senza nascondere una buona dose di pragmatismo, che i provvedimenti correttivi al codice della crisi abbiano inteso affrontare a “viso aperto” una realtà socio economica decisamente mutata a seguito della crisi pandemica da cui sono derivate crisi sistemiche di liquidità che hanno colpito più settori economici e che in tale nuovo contesto economico il legislatore nazionale abbia deciso di prediligere la proliferazione di progetti di ristrutturazione efficaci e risoluzione concordata, financo dell’insolvenza quando mostri i caratteri della reversibilità, alla tutela degli interessi del singolo creditore.


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