L’ammissione di concordato misto supportato da Trust liquidatorio

È ammissibile un concordato misto basato sulla continuità aziendale e sulla cessione degli assets non strategici e l’incasso dei crediti segregati in un trust.

SOMMARIO: 1. Massima – 2. Il caso – 3. Questioni giuridiche – 4. Osservazioni – 5. Conclusioni – 6. Guida all’approfondimento

Tribunale di Bergamo – 12 marzo 2018

1.Massima

È ammissibile un concordato misto basato sulla continuità aziendale e sulla cessione degli assets non strategici e l’incasso dei crediti segregati in un trust

2. Il caso

Una società, titolare di interessi e beni in Nord Africa, incalzata da una domanda di fallimento da parte di un fornitore, depositava domanda di concordato preventivo anticipata dalla formula prenotativa ex art 161 comma 6, L.Fall.

Allo scadere del termine ex art 161 comma 10, L.Fall. la debitrice depositava il piano che prevedeva:

  1. la prosecuzione dell’attività in via indiretta affittata sino all’omologa,
  2. la restituzione dell’attività alla debitrice all’esito dell’omologa,
  3. la ricapitalizzazione della debitrice da eseguirsi post omologa da parte di un investitore terzo (già affittuario)
  4. il conferimento in Trust dei beni non strategici siti in Nord Africa (Libia ed Algeria) e dei crediti, con vincolo a favore dei creditori e impegno di cedere il patrimonio destinato a soggetto già individuato previa procedura competitiva ex art 163 bis L.Fall.

La domanda propone il soddisfacimento integrale delle spese di prededuzione e dei creditori privilegiati e la suddivisione dei creditori chirografari in 3 classi con offerta di percentuali inferiori al 20% (rispettivamente 15% alle banche decanalizzate, 10% alle altre banche e 5% ai creditori chirografari).

La domanda propone il soddisfacimento dei ceditori concorsuali nel rispetto del termine di due anni.

Il risanamento poggia su un attivo concordatario di €10.734.082 derivante dall’aumento di capitale (di € 1.300.000) nonché dalla cessione degli assets non strategici e dall’incasso dei crediti segregati in Trust.

3. Questioni giuridiche

Le questioni giuridiche che il provvedimento in questione permette di considerare, non tutte affrontate espressamente, sono rilevanti sia in termine di quantità che di spessore e rivelano scelte coraggiose da parte dell’advisor che ha fatto un consapevole uso degli strumenti giuridici con i quali si è misurato, esercitando opzioni per nulla scontate che hanno saputo premiarlo.

Si riconoscono infatti scelte che hanno interessato: i) l’applicazione dell’art 182 quater comma 1 e 3 seconda parte L.Fall. con riferimento all’apporto di capitale del terzo finanziatore, ii) l’uso del Trust liquidatorio o di salvataggio endofallimentare nel contesto del concordato nonché iii) i riflessi del concordato misto sulla percentuale minima del 20% da assicurare ai chirografari in caso di concordato liquidatorio.

4. Osservazioni

a)  I riflessi dell’affitto d’azienda anticipato rispetto alla domanda in continuità

L’offerente prima ancora di depositare la domanda di concordato in bianco ha trasferito in affitto l’azienda al soggetto candidato a finanziarla post omologa, allorché il debitore recupererà la gestione diretta dell’attività.

L’affitto ha durata trimestrale con facoltà di rinnovo e/o di recesso; al momento della domanda di concordato piena tuttavia il debitore ha offerto un nuovo contratto d’affitto da sottoporre a procedura competitiva ex art 163 bis L.Fall.

Con la formula proposta l’offerente ha driblato le teorie sulla necessità della continuità diretta al momento del deposito della domanda, mantenendo in vita l’azienda attraverso una “circolazione extracorporea” del circolante che trasferisce il rischio d’impresa su circuiti esterni sottraendola alla massa.

L’operazione consente di non coinvolgere (per ora) il finanziatore nelle dinamiche concorsuali del debitore pur permettendo a costui di conservare il fondamentale ruolo di imprenditore legato alla precarietà del contratto d’affitto che può in qualsiasi momento essere sciolto con restituzione dell’azienda al concedente.

L’equilibrismo non è di poco conto; infatti è proprio la circostanza che nell’affitto il rischio d’impresa si trasferisca all’affittuario a costituire, per una parte della dottrina e giurisprudenza, il principale ostacolo all’applicazione dell’art 186 bis L.Fall. (per i sostenitori di questa tesi infatti l’affitto anteriore alla domanda sarebbe incompatibile con la prescrizione del Business Plan, la previsione della continuità aziendale, la moratoria di un anno per il pagamento dei creditori privilegiati e la possibilità di pagamento anticipato di creditori essenziale e strategici per la continuità aziendale ex art 182 quinquies; cfr D.GALLETTI, La strana vicenda del concordato in continuità e dell’affitto d’azienda 03 ottobre 2012 in www.ilfallimentarista.it;  F. PASQUARIELLO il concordato preventivo con continuità in Le nuove leggi civili commentate, fasc.5/2013, p.1136).

Tuttavia la domanda è congeniata in termini da superare il motivo di incertezza circa la qualifica di concordato in continuità presentando il debitore al governo dell’azienda proprio al momento della domanda in forza della momentanea caducazione degli effetti del precedente affitto.

Infatti la teoria dell’”affitto ponte” compatibile con il concordato in continuità, prevede il rispetto di tre requisiti prioritari:

  1. la sopravvivenza dell’azienda in esercizio in capo all’imprenditore al momento della domanda (circostanza che consente la piena applicazione della norma ex art 186 bis L.f. anche con riferimento alla produzione del Business Plan almeno sino al momento del trasferimento dell’azienda all’affittuario);
  2. la previsione dell’affitto e della successiva cessione nel piano concordatario (ciò permette di rispettare il dettato normativo di cui all’art 186 bis L.f. secondo cui «quando il piano di concordato di cui all’art 161, comma 2 lettera e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessazione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo»);
  3. la conservazione in capo al debitore della qualità di imprenditore, requisito da alcuni ritenuto inconciliabile con l’affitto ma la cui sopravvivenza è stata ritenuta da altri pienamente compatibile con l’attività ad es. di liquidazione dei cespiti aziendali.

In questo modo il debitore in concordato si presenta all’ammissione in veste di titolare dell’impresa riscuotendo il diritto alla presentazione del concordato in continuità ex art 186 bis L.Fall. con quanto ne deriva in termini di offerta rivolta ai creditori chirografari per i quali la proposta prevede una percentuale di soddisfacimento inferiore al 20%.

C’è da chiedersi se la soluzione adottata sia la meno rischiosa e la risposta è probabilmente affermativa.

L’alternativa sarebbe stata infatti di candidare il “cavaliere bianco” a finanziare l’operazione fin dall’inizio intervenendo nella compagine sociale del debitore e permettendo la gestione diretta dell’azienda che avrebbe allontanato le ombre legate alle precarietà interpretative che si celano dietro all’affitto.

Così operando tuttavia l’advisor avrebbe spinto il finanziatore a misurarsi con l’applicazione dell’art 182 quater comma 2 c.p.c. che accorda la prededuzione a finanziamenti a condizione che: i) siano erogati prima del deposito della domanda ed in funzione di essa, ii) il concordato sia ammesso dal tribunale ed infine iii) in quella sede la prededuzione sia espressamente riconosciuta, circostanze che finiscono per disincentivare questa modalità di approccio, soprattutto quando a finanziare sia un terzo che risponde dell’operato di fronte ai propri stakeholders.

Si aggiunga che il recente intervento della Cassazione proprio sulla prededuzione accordata ex art 182 quater comma 2, L.Fall. non aiuta a tranquillizzare gli animi degli intraprendenti: con sentenza 30/05/2017 n 13537 la S.C. ha infatti negato al decreto di ammissione al concordato preventivo qualsivoglia definitiva incidenza sul rango del credito, argomentando che “la decisione adottata in sede di ammissione può sempre essere ridiscussa in sede di omologazione o in caso di successivo fallimento” e ciò per via del fatto che “il provvedimento col quale è disposta l’apertura della procedura di concordato preventivo ha natura solo ordinatoria ed è privo del carattere di definitività”, concludendo in termini inequivoci che “l’esito della prededucibilità dei crediti di cui alla L.Fall. art 182 quater non è vincolante ove semplicemente delibato al momento dell’ammissione al concordato preventivo”.

Alla luce della giurisprudenza testé citata si ritiene che il tracciato segnato dal debitore sia  quello più favorevole ad evitare il prematuro coinvolgimento del cavaliere bianco nel concordato e così il rischio di disperdere il finanziamento destinato ai creditori all’esito del loro voto sul salvataggio dell’azienda insolvente.

b) Concordato misto: prevalenza dei principi della continuità su quelli liquidatori

Un secondo punto per nulla scontato, risolto a favore del debitore, è quello della prevalenza dei principi della continuità su quelli liquidatori.

Come emerge dal provvedimento, l’attivo concordatario deriva prevalentemente dalla “cessione degli assets non strategici e dall’incasso dei crediti segregati in Trust”  ed in minima parte (ma non per questo irrisoria) dall’aumento di capitale promesso dal finanziatore.

La combinazione propone la questione della disciplina applicabile soprattutto agli effetti del soddisfacimento dei chirografari nella misura del 20%.

Al riguardo in giurisprudenza si sono affermati due orientamenti:

  1. la teoria della prevalenza c.d. quantitativa secondo cui al concordato c.d. misto deve essere applicata un’unica disciplina corrispondente alla componente prevalente in termini economici e funzionali (cfr. Trib. Alessandria 18/01/2016, Trib. Pistoia 29/10/2015 Trib. Monza 26/07/2016, tutte pubblicate su www.ilcaso.it)
  2. la teoria della prevalenza c.d. qualitativa secondo cui al concordato misto si applicherà il regime corrispondente alla continuità aziendale ove questa non sia un’operazione del tutto marginale o meramente di facciata per eludere l’applicazione del disposto di cui all’art 160 comma 4, L.Fall. (Trib. Udine 28/02/2017 su www.unijuris.it; A. Genova 06/07/2018 su www.ilcaso.it )

Questo secondo indirizzo a cui pare inequivocabilmente aderire il Tribunale di Bergamo, ritiene che la ratio della norma dell’art 186 bis L.Fall. sia quella di “favorire per quanto possibile soluzioni concordatarie non esclusivamente liquidatorie e che non abbiano quale risultato unico quello della progressiva desertificazione del tessuto produttivo imprenditoriale ed occupazionale del paese” (così Trib Ravenna 19/08/2014 su www.ilcaso.it ).

A questo riguardo anche se il Tribunale di Bergamo non si esprime formalmente sul punto, non si può non riflettere sulla circostanza che l’art 186 bis L. Fall. dispone espressamente che il piano di concordato in continuità possa prevedere la liquidazione di beni non funzionali, nulla dicendo sul rapporto quantitativo che vi debba essere tra dismissione ed esercizio aziendale.

Infatti seguendo il criterio c.d. quantitativo, si introdurrebbe un ulteriore requisito di ammissibilità del concordato in continuità in realtà non contemplato dalla disciplina prevista dall’art 186 bis L.Fall.

Di recente si è pronunciato favorevolmente a questo indirizzo il Tribunale di Venezia 5/7/2018 (Fallimenti&Società) che aderisce alla tesi della prevalenza qualitativa ovvero dell’applicabilità della sola disciplina del concordato con continuità aziendale anche laddove le risorse ritraibili dalla continuità aziendale risultino di molto inferiori alle risorse provenienti dai cespiti liquidabili.

c) Il Trust liquidatorio a sostegno dell’esecuzione del concordato

La terza e non meno rilevante questione, attiene alla devoluzione di tutti gli assets non strategici e dell’incasso dei crediti in un Trust Fund.

Come noto, l’effetto principale del Trust è quello segregativo che determina la separazione dei beni conferiti nei confronti sia del patrimonio del disponente sia del Trustee con la conseguenza che i medesimi beni non potranno essere oggetto di azioni esecutive e/o cautelari da parte dei creditori particolari, una volta decorso il termine annuale previsto dal nuovo art. 2929 bis c.c.

Nella fattispecie il debitore ha offerto l’incarico di Trustee al commissario giudiziale e quello di guardiano al comitato dei creditori aprendosi così ad una totale trasparenza circa le finalità non distrattive perseguite.

La giurisprudenza è stata a lungo diffidente verso il Trust giudicato nullo ogni qualvolta è stato utilizzato quale strumento che si sostituisce alle procedure regolatrici delle situazioni di insolvenza e comunque istituito nei casi in cui il debitore sia in uno stato di insolvenza.

La circostanza è ribadita anche dalla sentenza di Cass. 09/05/2014 n 10105 che riguarda un Trust (falsamente) liquidatorio istituito da una società da poco posta in liquidazione ma in un momento in cui si trovava già in una situazione di insolvenza.

La sentenza, pur cassando l’uso distorto ed abusivo del Trust, si assume il compito di rivalutarlo nelle finalità genuinamente liquidatorie nonché “di salvataggio”: il primo teso a realizzare una modalità alternativa alla liquidazione disciplinata dagli artt. 2487 e ss c.c. consentendo al Trustee di eseguire le operazioni di liquidazione e all’impresa liquidata di cancellarsi dal registro (Sul punto si registra tuttavia ancora il consolidato orientamento ostile del trib di Milano che si oppone a situazioni nelle quali una società posta in liquidazione trasferisca l’intero patrimonio sociale a un Trust presenti il bilancio finale di liquidazione e ottenga la cancellazione dal registro delle imprese in quanto la cessione senza corrispettivo, dunque senza realizzo, al Trust non coincide con l’attività di liquidazione che quindi non è stata effettuata anzi non è stata neanche iniziata: cfr Trib Milano 12/09/2013 e Trib Milano 22 novembre 2013 in www.ilcaso.it).

Il secondo istituito da un imprenditore in stato di crisi reversibile con cui mira a scongiurare un’istanza di fallimento o a favorire e supportare soluzioni negoziali della crisi.

Quest’ultima espressione, evidentemente, dato il pericolo di sottrarre elementi patrimoniali alla garanzia dei creditori, è esposta alla verifica della “causa in concreto” del negozio da parte del giudice di merito che avrà elementi di discrezionalità molto ampi per l’evidente ragione che il fund Trust si pone quale alternativa alla liquidazione endoconcorsuale.

Il Trust di salvataggio è frequentemente costituito come veicolo per raccogliere elementi patrimoniali di terzi che intendano supportare un concordato fornendo elementi più rassicuranti della semplice obbligazione attraverso una garanzia reale che, oltre a presentare maggiori elementi di duttilità rispetto ad altre forme tradizionali di garanzia (ad es l’ipoteca) in caso di anticpato scioglimento (ad es. per mancato avveramento della condizione del concordato), permette di segregare il patrimonio contro il rischio di aggressioni da parte dei propri creditori (Si vedano ad esempio i casi del Trib di Forlì 4/2/2015 in I contratti, 2015,437 e del Trib Ravenna 4/4/2013in Trust e att.fid.2013,632; Trib Chieti 14/05/2013 in www.ilcaso.it).

Nel caso di specie il Trust è interamente costituito da beni del debitore rispetto ai quali non si pone l’esigenza di realizzare una maggior protezione che è già garantita dallo stesso concordato attraverso l’art 168 L.Fall.

L’elemento distintivo e che giustifica l’adozione della scelta è stato invece quello della collocazione dell’intero assets liquidabile, crediti compresi, in un unico serbatoio rispetto al quale il finanziatore ha avanzato un’offerta di acquisto stimolando così l’attivazione di procedure competitive ex art 163 bis L.Fall.

La soluzione, nel concreto, risulta meritevole in quanto, lo si ricorda, tanto l’ubicazione dei beni quanto la riscossione dei crediti si trovano in territori politicamente destabilizzati da conflitti interni, ragione per cui la semplice offerta di una liquidazione tradizionale avrebbe comportato il pericolo di indicare tempi inattendibili per la loro esitazione o riscossione e il rischio di subire dall’attestatore forti abbattimenti prudenziali del loro valore o risultare comunque inadempienti al requisito dell’art 161 comma 2, lettera e) L. Fall.

Al contrario l’inserimento dell’intero pacchetto dei beni non strategici nel veicolo del Trust permette di raddrizzare la curva dell’incertezza data dai tempi di esitazione e attribuire un valore minimo, ma sicuro, a tutto il patrimonio inserito nel fondo, favorendo la conclusione in tempi prevedibili della procedura, così da allargare la forbice della convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria affidata al fallimento in cui i tempi potrebbero essere fortemente dilatati.

5. Conclusioni 

Il Tribunale di Bergamo ha saputo premiare una proposta di concordato articolata in termini di originalità che si traducono in elementi di vantaggio per la massa dei creditori.

Si deve aggiungere che la soluzione del Trust, oltre a permettere indiscutibili vantaggi ai creditori per l’accelerazione nell’esecuzione del concordato, consente di trasferire sul finanziatore il rischio della vendita e della riscossione dei crediti, favorendo così in capo a soggetti giuridici attrezzati (penso ai fondi comuni di ristrutturazione) di recuperare parte del versamento in equity attraverso la miglior valorizzazione dell’attività di esitazione che può anche tradursi in una operazione di cartolarizzazione, favorendo un recupero rapido dell’investimento e l’agevolazione verso altre operazioni dello stesso tenore di ristrutturazione.

Lo strumento del Trust, peraltro, si rivela un veicolo favorevole anche in termini fiscali; la giurisprudenza ha recentemente voltato pagina sul fattore della tassazione stabilendo ad es. che al Trust autodichiarato (il c.d. Trust autodichiarato è quella figura in cui il disponente e il Trustee vengono a coincidere nello stesso soggetto) non si applicano le imposte proporzionali dovute per i trasferimenti di beni e diritti bensì quelle previste in misura fissa in quanto l’effetto che si realizza è solo quello di separazione del bene dal patrimonio del disponente stesso  (Cass 26/10/2016 n 21614; CTP Milano 05/03/2015 in Trusts 2016, 427; CTR Lombardia 13/05/2016 in Trusts 2016, 650; CTP Lodi 05/02/2016 in Fisco 2016, 1882).

6. Guida all’approfondimento

Per uno sguardo sul Trust liquidatorio ed un commento alla Sentenza Cass 09/05/2014 n 10105 si veda: “il Trust liquidatorio e il Trust a supporto di procedure concorsuali” di Massimo Palazzo in Fondazione Italiana del Notariato.

Sull’affitto d’azienda e le sue conseguenze sul concordato preventivo si suggerisce: Il concordato con Continuità Aziendale AA.VV. a cura di Giannicola Rocca e Giuseppe Acciaro, in I Quaderni N 75, Scuola di Alta Formazione Luigi Martino, ODCEC – Milano.


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