Le sottili differenze tra il potere deliberativo e rappresentativo degli organi apicali della società (articolo 152 della legge fallimentare)

La Cassazione con la sentenza n 12273 del 13/06/2016 è intervenuta per distinguere il potere deliberativo degli amministratori da quello dei liquidatori nel processo che porta alla decisione della soluzione concordataria della crisi.

Il concordato fallimentare, così come quello preventivo (per il richiamo espresso dell’art 161 ult comma l.f.) presuppongono quale condizione della loro ammissibilità l’adozione di un provvedimento autorizzativo ai sensi dell’art 152 l.f.

La norma distingue il potere di esternalizzare la volontà dell’ente attraverso la proposta, affidato, per tutte le forme societarie, ai soggetti che ne hanno la rappresentanza (primo comma), dal potere deliberativo rimesso, nelle società di persone, alla volontà dei soci e nelle società di capitali, agli amministratori. (secondo comma).

La norma si ritiene applicabile in via analogica anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti in relazione alla identità di ratio e alla necessità di integrare la disciplina della procedura assai asciutta prevista dall’art 182 bis l.f. con quella del concordato preventivo.

In caso di società sottoposta a liquidazione si è frequentemente data applicazione all’art 152 l.f. sostituendo la figura degli amministratori a quella del liquidatore e ciò sulla base di un’interpretazione estensiva dell’art 2489 c.c. che attribuisce ai liquidatori il potere di compiere “tutti gli atti utili per la liquidazione della società” tra i quali sembrava di poter includere altresì la proposta di concordato preventivo con cessione dei beni e dunque con finalità liquidatorie.

La Cassazione tuttavia con la sentenza del 14/06/2016 n 12273 ha sollevato per la prima volta un veto a questo modello interpretativo introducendo dei distinguo interessanti che debbono far riflettere l’interprete aiutandolo ad evitare errori che possono pregiudicare l’esito di tutta la procedura.

Il caso portato all’esame della S.C. è curioso e riguarda la domanda di ammissione al passivo formulata da un professionista in seno al fallimento di una S.p.A. per l’opera svolta in relazione ad una domanda di concordato che non aveva avuto successo.

il Tribunale al quale aveva rivolto la domanda di insinuazione, l’aveva rigettata, sul presupposto che il mandato per predisporre la domanda del concordato gli era stato conferito dal liquidatore senza alcuna delibera dell’assemblea straordinaria per l’approvazione del concordato preventivo stesso; il liquidatore aveva infatti convocato l’assemblea ma, visto che era andata deserta, aveva deliberato autonomamente la presentazione della domanda di concordato.

La Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale affermando che, nel caso di specie, si sarebbe manifestata una carenza assoluta di potere non avendo il liquidatore la stessa posizione dell’amministratore di società.

Mentre l’amministratore ripete la fonte dei propri poteri dalla legge (art 2380 bis c.c. o 2475 c.c.) il liquidatore trae il proprio potere dall’assemblea che, ai sensi dell’art 2487 bis c.c., delimita e definisce i suoi confini.

È infatti l’assemblea che stabilisce: “i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori, con particolare riguardo alla cessione dell’azienda…omissis… gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa… omissis..” (cfr art 2487 1°co. l c) c.c.)

Ne deriva, prosegue la S. Corte, che, in materia di concordato preventivo, anche se liquidatorio, il potere dei liquidatori deve essere specificamente loro attribuito dall’assemblea non potendosi esso considerare una sorta di naturalia negotii compreso nell’atto di nomina degli stessi, non potendo venire in rilievo la possibilità di estendere la previsione di cui alla L. fall. art 152 che riguarda i soli amministratori, avendo costoro altro e diverso statuto legale, come si è visto, naturalmente assai più ampio e predeterminato rispetto a quello dei liquidatori.

La sentenza è senza dubbio apprezzabile sotto il profilo della chiarezza in quanto colma una lacuna interpretativa dell’art 152 l.f. che sino ad ora è stato applicato con una certa flessibilità.

Nondimeno offre il fianco a qualche appunto in quanto era possibile pervenire ad una soluzione differente e meno rigida valorizzando gli artt 2488 e 2489 c.c.

La prima delle due norme citate recita che: “le disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo si applicano in quanto compatibili anche durante la liquidazione”.

Inoltre abbiamo già ricordato come l’art 2489 c.c. disponga che “ i liquidatori hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società”

Soprattutto in forza di tale ultima norma, la dottrina è giunta ad affermare che “i liquidatori assumono una centralità tale da potere essere definiti gli amministratori della liquidazione” (così Maffei Alberti in Comm al dir delle società sub art 2489 c.c.).

I poteri dei liquidatori sono funzionali ad assolvere il compito loro assegnato (“tutti gli atti utili per la liquidazione della società”) trovando il loro fondamento proprio nella disposizione di legge che, nel vincolarli a compiere soltanto tutti gli atti utili per la liquidazione delinea in positivo l’ambito del loro operare.

Quella di cui all’art 2489 c.c. è una disciplina generale e compiuta per l’ipotesi in cui i soci non intendano avvalersi delle facoltà di indirizzo di cui all’art 2487 c.c. : la volontà assembleare ha la funzione di limitare o specificare competenze che trovano la loro fonte esclusiva e diretta nella legge (Santus, de Marchi, riv Notariato 03,623); l’art 2489 c.c. è dunque norma suppletiva chiamata a dettare i poteri dell’organo liquidatorio in mancanza di altra e diversa disposizione programmatica dei soci contenuta nello statuto o impartita dall’assemblea (Fimmanò in Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, 274).

In quest’ottica non si comprende la ragione per la quale l’art 152 l.f. non possa essere interpretato nel senso di ricomprendervi anche i liquidatori con gli stessi poteri deliberativi degli amministratori atteso che la domanda di concordato liquidatorio rientra a tutti gli effetti tra le attività liquidatorie che il liquidatore è chiamato a svolgere per legge.

Infine è difficile comprendere la ragione per la quale il liquidatore sia abilitato (senza dubbio) a svolgere domanda di fallimento della società che rappresenta ma, in assenza di condotta collaborativa dell’assemblea, non possa proporre una domanda di concordato liquidatorio senza il quale la procedura maggiore diventa di fatto scontata.


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