Leasing: le discese ardite e le risalite


Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della legge 124/2017 (art. 1 commi 136-140), sono regolati dalla disciplina dell’art. 72-quater l.fall., applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore.

SOMMARIO: 1. Massima – 2. Il caso – 3. La questione – 4. Osservazioni

1. Massima

Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della legge 124/2017 (art. 1 commi 136-140), sono regolati dalla disciplina dell’art. 72-quater legge fall., applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore.
In caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato.

La vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo.
Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito sulla base della stima su menzionata, sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante-fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione.
Eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto.

2. Il caso

Un contratto di leasing immobiliare stipulato nel 2006, veniva risolto per inadempimento dell’utilizzatore nel 2015; il “lessee” restituiva spontaneamente l’immobile al “lessor”.
Al momento della consegna risultavano non pagati 23 canoni di locazione.

Successivamente interveniva il fallimento dell’utilizzatore nel cui passivo il concedente domandava di essere insinuato in forza dell’art 8 del contratto di leasing che stabiliva l’acquisizione al concedente dei canoni versati sino alla risoluzione del contratto, oltre all’obbligo dell’utilizzatore di corrispondere i canoni scaduti e quelli a scadere (attualizzati) dedotto quanto ricavato dalla vendita del bene (o da altra forma di ricollocazione) ovvero il valore del bene desunto da perizia di stima compiuta dal locatore.
La domanda veniva respinta dal G.d. e dal Tribunale sul presupposto dell’applicazione della disciplina dettata dall’art 1526 c.c. giudicata inderogabile.
Il “lessor” proponeva ricorso in Cassazione assumendo la prevalenza delle clausole di leasing sull’applicazione dell’art 1526 c.c. e lamentando l’omesso esame della clausola penale statuita nel contratto di leasing.

3. La questione

Il Tribunale ha qualificato il contratto come Leasing Traslativo secondo il pacifico indirizzo della giurisprudenza di Cassazione per la quale, in caso di risoluzione ante fallimento, trova applicazione l’art 1526 c.c. per via della sua inderogabilità che supera ogni diversa volontà negoziale delle parti.
Ricordiamo come l’art 1526 c.c. in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore richieda la restituzione dei canoni già corrisposti, salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni ed oltre al risarcimento dei danni.
La questione tuttavia nella fattispecie viene insaporita dallo ius superveniens costituito dalla disciplina del contrato di leasing contenuta nell’art 1 commi 136 – 140 legge 124/2017 che ha introdotto nel nostro ordinamento la definizione unitaria del contratto di leasing finanziario superando la tradizionale contrapposizione tra Leasing di Godimento e Leasing Traslativo e disciplinando presupposti ed effetti della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore.
La legge tuttavia non propone una disciplina transitoria impedendo una sua applicazione diretta ai contratti già in essere.

Per superare detta impasse, la Cassazione non si arresta alla lettura “ora per allora” delle norme ma si interroga in che misura “il paradigma normativo e i principi recati dalla novella legislativa possano trovare ingresso pur in assenza di una loro diretta applicabilità nel presente giudizio”.
La motivazione della sentenza fa leva sulla considerazione che il legislatore ha operato una ricostruzione unitaria del contratto di leasing e “ha disatteso la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge”.
Questa osservazione porta all’opportunità di “fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva secondo cui una determinata fattispecie negoziale per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente”.
Sulla base di queste principali considerazioni la Cassazione giunge a sposare anche per quanto riguarda i contratti del passato i principi e i valori espressi nella nuova normativa rispetto alla quale la disciplina contenuta nel contratto di leasing non risulta in contrasto.
La sentenza rischia tuttavia di rimanere isolata nel panorama giurisprudenziale di legittimità come nel prosieguo proverò a dimostrare.

4. Osservazioni

La Cassazione, in tema di leasing in rapporto al fallimento, nell’arco di 6 mesi ha eseguito un intero loop, ritornando al punto di partenza nella distinzione tra Leasing Traslativo e di Godimento dopo una pronuncia che ne decretava il superamento in nome di una unitaria nozione di leasing finanziario.
Procediamo con ordine.
Con sentenza n 27925 del 31/10/2018 la Cassazione I sezione civile richiamava la costante giurisprudenza della S.C. in punto risoluzione del contratto di leasing traslativo anteriormente alla dichiarazione di fallimento e respingeva il ricorso della compagnia di leasing che reclamava l’applicazione di una disciplina contrattuale disegnata sul modello dell’art 72 quater l.f. e ciò sul presupposto che la diversità delle fattispecie rendevano inapplicabile il ricorso alla medesima normativa.
Infatti la risoluzione del contratto fonda su una scelta del concedente sul presupposto dell’inadempimento dell’utilizzatore mentre il suo scioglimento per effetto del fallimento si basa su una decisione dell’utilizzatore (nella persona del curatore) che decide di non proseguire nel rapporto contrattuale.
Da questa differenza ontologica deriva la necessità di affidare l’ipotesi della risoluzione ante fallimento alla disciplina dell’art 1526 c.c.(definita norma imperativa) che regola proprio il caso della risoluzione del contratto con riserva di proprietà al cui modello il leasing traslativo si richiama, mentre il caso dello scioglimento per decisione del curatore è regolato dall’art 72 quater l.f. previsto dal legislatore sul caso specifico.
Il c.d. “patto di deduzione” (è definito “patto di deduzione” quella clausola contrattuale con la quale si conviene che in caso di risoluzione il concedente abbia diritto al credito dello scaduto oltre ad un credito ulteriore pari alla somma delle rate a scadere con il prezzo d’opzione dedotto il valore ricavato dalla vendita del bene) – forgiato sulla base dell’art 72 quater l.f. – eventualmente inserito nei contratti di leasing, deve pertanto essere considerato “nullo per contrarietà all’ordine pubblico economico”. (cfr., ex multis, Cass. n. 30820 del2018? Cass. n. 15975 del 2018? Cass. n. 21476 del 2017? Cass. n. 20890 del2017? Cass. n. 2538 del 2016? Cass. n. 8687 del 2015).
Su questo plafond giurisprudenziale assolutamente granitico si inserisce, in termini di totale rottura, la sentenza di Cassazione 8980 del 29/03/2019 che perviene alla soluzione opposta attraverso un ragionamento assai articolato e disancorato dal passato.

Il S.C. con la pronuncia in questione, su una fattispecie assimilabile alla precedente costituita dalla richiesta del concedente di applicare al caso della risoluzione ante fallimento di un contratto di leasing una regola negoziale riproponente lo schema dell’art 72 quater l.f., si dichiara favorevole all’estensione della disciplina fallimentare.

In questo caso il S.C. rileva che la L 124/2017 (la L 124/2017, in assenza di disposizioni transitorie, trova applicazione solo ai contratti di leasing stipulati successivamente alla sua entrata in vigore secondo il noto brocardo tempus regit actum, lasciando libera l’interpretazione per i casi di contratti vigenti o conclusi prima della sua entrata in vigore) ha tracciato per la prima volta la definizione unitaria di leasing finanziario operando il superamento della distinzione, di origine giurisprudenziale, tra leasing di godimento e leasing traslativo (dettato da Cass S.U. n 65/1993) e prevedendo per esso una disciplina riconducibile a quella già disegnata (in caso di fallimento) dall’art 72 quater l.f.
Nella Legge 124/2017 infatti, analogamente a quanto disposto dall’art 72 quater l.f. si prevede che, in caso di risoluzione del contratto, il concedente ha diritto ai canoni scaduti e alla restituzione del bene oltre all’eventuale differenza tra il maggior credito derivante dai canoni a scadere in linea capitale compreso il diritto d’opzione e quanto ricavato dalla vendita del bene a valore di mercato, previa stima effettuata da un perito di comune nomina.
La circostanza che la nuova normativa civilistica abbia tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma distinta dalla vendita con riserva di proprietà, affidandone la disciplina ad uno schema che si appoggia a quello già delineato dal legislatore nell’art 72 quater l.f. permette di utilizzare tale disegno normativo in via analogica anche alla fattispecie della risoluzione del contratto anteriormente al fallimento.
La S.C. precisa peraltro che non si tratta di attribuire carattere retroattivo alla nuova disciplina portata dalla L 124/2017 ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non coperti da giudicato, può essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente.
Non è ancora esaurito lo stupore per l’innovativa sentenza che la stessa Cassazione, neppure venti giorni dopo, ripropone all’interprete un riordinato ritorno al passato; con la pronuncia del S.C. n 10733 del 17/04/2019, infatti i giudici di legittimità richiamano la più conservatrice giurisprudenza non solo riaffermando l’applicazione dell’art 1526 c.c. al caso del leasing traslativo, ma sottolineando l’inammissibilità di qualsiasi ipotesi di applicazione analogica dell’art 72 quater l.f. in presenza di una disposizione di legge (rappresentata dall’art 1526 c.c.) che già disciplina la fattispecie della risoluzione del contratto con riserva di proprietà e che rende pertanto “impensabile il ricorso all’analogia”.
Il contrasto tra il clamore suscitato dalla sentenza di Cass. n 8980/2019 e la reiterazione con cui si ribadiscono concetti giuridici frutto della tradizione giurisprudenziale sul punto (con una quantità di richiami giurisprudenziali sovrabbondanti) è tale da non lasciare dubbi sul fatto che la più recente sentenza di Cass. n 10733/2019 non è frutto di una momentanea “distrazione” della Corte ma espressione di una voluta e meditata presa di distanza dalla precedente pronuncia di cui evidentemente non sono condivise le motivazioni e le conclusioni.
La sentenza “riformatrice” di Cass. n 8980/2019 non si pone tuttavia all’attenzione del lettore solo per l’eccezionale novità evolutiva della lettura del contratto di leasing secondo la definizione e la disciplina voluta dalla L 124/2017, ma anche per il superamento del criterio interpretativo dell’art 72 quater l.f. che nella sua ultima declinazione (cfr. Cass. 13/09/2017 n. 21213) prevedeva l’articolazione della domanda di ammissione al passivo del credito del concedente in due differenti momenti di cui uno necessario (afferente i canoni scaduti) e il secondo eventuale (afferente i canoni a scadere) da introdurre nel fallimento dopo la vendita del bene.

La sentenza Cass n 8980/2019 invece, come già altre pronunciate nel corso dei primi mesi del 2019 (cfr Cass 2567/2019 in tema di terzo datore di ipoteca; Cass 2528/2019 in tema di compensazione di crediti scaduti; Cass 23482/2018 in tema di credito fondiario; Cass 12064/2019 in tema di natura concorsuale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti), si orienta secondo le nuove disposizioni dettate dal legislatore del Codice della Crisi e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) che all’art 177 prevede un’unica ammissione al passivo basata sul credito scaduto e a scadere, dedotto il valore di stima del bene rimesso alla perizia disposta dal G.D.
La soluzione adottata dal legislatore ed anticipata nella sua applicazione pratica dalla Cassazione è la stessa pragmaticamente adottata dal plenum dei giudici del Tribunale di Milano sez. fallimentare che attraverso la circolare 1/2017 raccomandava alla curatela di giungere all’udienza di verifica dello Stato Passivo munito di una stima del bene che consentisse di operare le dovute compensazioni con quanto ancora riconosciuto in termini di credito al concedente.
L’art 177 D.Lgs. 14/2019 e la sentenza di Cassazione in commento attribuiscono in realtà allo stesso G.D. il compito di procedere alla stima, introducendo un elemento di rallentamento della formazione dello stato passivo che si pone in controtendenza con le numerose altre disposizioni volte ad accelerare la procedura stessa.
Fatta eccezione per questa minuscola criticità a cui i vari Tribunali sapranno probabilmente trovare soluzioni che permettano di giungere all’udienza di verifica già con il dato di stima, la sentenza di Cassazione n 8980/2019 ha certamente il merito di anticipare la disposizione del Codice della Crisi superando la precedente lettura dell’art 72 quater l.f. che, combinata con la necessità di contenere in un biennio la durata della procedura fallimentare (secondo quanto disposto dall’art 104 ter l.f.), poneva ai concedenti il leasing un serio ostacolo all’accertamento del proprio credito residuo in linea capitale al netto di quanto ricavato dalla vendita del bene o da altra sua collocazione sul mercato.


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