L’istituzione di adeguati assetti organizzativi e i riflessi sui criteri di valutazione della responsabilità gestoria

A cura dell’avvocato Gianfranco Benvenuto

Con il “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza” (di seguito CCII) di cui al D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, la cui entrata in vigore è slittata al 16 maggio 2021 per effetto del D.L. n. 118/2021 – salvo che per le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi che vengono rinviate al 31 dicembre 2023 -, si assisterà ad un nuovo approccio alla gestione della crisi d’impresa volto a stimolarne la tempestiva rilevazione e la pianificazione degli interventi da adottare.

All’interno del testo normativo possiamo cogliere una fase prodromica alla rilevazione degli inizi della crisi caratterizzata dai c.d. “strumenti di allerta” costituiti da obblighi i) di istituzione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili in capo all’imprenditore e ii) di segnalazione a carico dell’organo di controllo societario (compreso il revisore contabile) e dei creditori pubblici qualificati (Agenzia dell’Entrate, INPS e Agente della Riscossione).

Quanto all’obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi, il Codice è intervenuto sull’art. 2086 c.c. introducendo il comma 2 (già in vigore dal 16 marzo 2019) che stabilisce:

L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

A tale dovere sono chiamati, in particolare: il Consiglio d’Amministrazione che ha il compito di istituirli e valutarne l’adeguatezza, gli Amministratori delegati che hanno il compito di curarne l’adeguatezza in rapporto alla natura e dimensioni dell’impresa e i Sindaci in veste di vigilanti.

Un primo elemento di novità è certamente rappresentato dalla circostanza che i doveri organizzativi dell’impresa in capo agli organi gestori vengono in rilievo già in una fase pre-crisi con la duplice finalità, appunto, di tempestiva rivelazione e soluzione della crisi.

Sotto altro profilo, non si può certo prescindere dagli ulteriori profili di responsabilità che si configurano in capo agli amministratori nel caso di omessa o errata valutazione degli indizi della crisi.

A tal proposito, non sfugge come il legislatore, pur avendone individuato la finalità, non abbia determinato il contenuto e il profilo degli assetti organizzativi: l’aggettivo adeguati, al contrario, lascia ampia discrezionalità agli organi gestori in merito al livello di organizzazione da raggiungere.

Il concetto di assetto organizzato è riconducibile al sistema di funzioni, poteri, deleghe, processi decisionali e procedure che favorisca una chiara individuazione dei compiti e delle conseguenti responsabilità dei soggetti coinvolti.

Un assetto può ritenersi adeguato alla natura e alla dimensione dell’impresa quando, in base ad un giudizio ex ante e rispettoso dei margini di imprevedibilità dei fenomeni economico-finanziari è astrattamente idoneo ad assicurare l’operatività delle funzioni aziendali.

L’Amministratore non risponderà, infatti, a titolo di responsabilità contrattuale nei confronti della società del merito delle scelte imprenditoriali da lui compiute secondo le sue conoscenze e gli elementi a sua disposizione, non sussistendo peraltro un obbligo di amministrare la società con successo economico.

Al contrario, l’Amministratore che omette del tutto di approntare una adeguata struttura organizzativa rimanendo inerte difronte ai segnali indicatori di una soluzione di crisi o pre-crisi, dovrà considerarsi responsabile ma non già per il danno recato ai creditori, ma per non aver rispettato le regole stabilite dal legislatore.

Pare evidente che il default aziendale costituisce una condizione sufficiente ma non necessaria per la imputazione di responsabilità all’amministratore. Infatti, se il fallimento rappresenta uno scivolo per l’indagine sulla diligenza dell’amministratore espressa anche sotto il profilo organizzativo, non per questo è la prova dell’inadempimento dell’imprenditore o dell’inadeguatezza dell’assetto: occorrerà a tal proposito dimostrare che il danno non si sarebbe prodotto se l’assetto fosse stato adeguato.

Altrettanto certo è, tuttavia, che la rilevazione dell’assenza di qualsiasi reazione da parte dell’amministratore all’incipiente insolvenza e la mancata e/o tempestiva adozione almeno delle misure opportune indicate dall’ordinamento per la salvaguardia del patrimonio a garanzia del soddisfacimento dei creditori, costituirà presunzione di inadempimento obbligandolo a dimostrare di aver fatto tutto quanto necessario per evitare il danno nel rispetto dei più ordinari precetti di diligenza espressi dagli artt. 1176 co.2 e 1218 c.c., tenuto conto che la responsabilità dell’Amministratore è valutata alla stregua di un gestore di un patrimonio altrui e che, dunque, nell’ottica di tale salvataggio la sua diligenza deve essere oltremodo attenta.


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