Responsabilità degli organi nella misura pari alla differenza tra attivo e passivo fallimentare: prime applicazioni nella giurisprudenza di Cassazione
Con la sentenza n. 24431 del 30/09/2019 avente ad oggetto la responsabilità degli amministratori e sindaci per un caso di malagestio, gli Ermellini hanno avuto modo di soffermarsi sul nuovo comma dell’art. 2486 c.c. introdotto dal Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza.
Nel caso di specie la Cassazione, in riforma della sentenza d’appello espressasi in termini opposti, ha riconosciuto l’applicabilità del criterio di liquidazione del danno fondato sulla differenza tra attivo e passivo fallimentare avendo riscontrato i requisiti dell’assenza di una contabilità e del raggiungimento della prova di inadempienze degli organi compatibili con il danno provocato per la cui più precisa determinazione proprio l’assenza della contabilità costituiva il principale impedimento.
Sul punto, il precedente orientamento di Cassazione richiedeva l’allegazione dell’inadempimento degli amministratori e sindaci che costituisse causa o concausa efficiente del danno (Cass. SS.UU. 577/2008), la prova del nesso di causalità tra inadempimento e danno risarcibile ponendo infine la curatela di fronte allo scoglio della sua determinazione in concreto, resa particolarmente difficile in caso di mancanza di contabilità.
Ci si chiedeva quale tra gli inadempimenti “qualificati” in cui può incorrere l’amministratore di società di capitali fosse astrattamente efficiente a produrre un danno corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita ed accertato in sede concorsuale tenuto conto che ad esso concorrono passività riconducibili all’alea intrinseca dell’attività imprenditoriale e non all’inadempimento dell’amministratore.
La mancanza (ed anche l’irregolarità) delle scritture contabili non apparivano di per sé sufficienti a determinare una responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori nei confronti della società ove non si fosse dimostrato (con prova diabolica) che a causa delle violazioni contabili, la società medesima avesse subito un danno (Cass. SS.UU. 9100/2015).
La sentenza in commento invece, abbassa l’asticella della prova del danno per la cui liquidazione (nella misura della differenza tra attivo e passivo fallimentare) ritiene sufficiente un inadempimento potenzialmente idoneo alla sua determinazione accompagnato dall’assenza della contabilità, in ciò appoggiandosi alle indicazioni offerte dal legislatore con l’art 378 del C.C.I. che ha aggiunto il 3° comma all’art 2486 c.c.
La nuova previsione normativa stabilisce una vera e propria presunzione, seppur semplice, in merito alla quantificazione del danno risarcibile richiedendo di far appello in prima istanza al c.d. criterio dei netti patrimoniali che permette di pervenire alla sua determinazione attraverso la differenza tra il patrimonio netto alla data di cessazione della carica da parte dell’amministratore ovvero dell’apertura della procedura concorsuale ed il patrimonio netto alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento ex art. 2484 c.c..
Alternativamente laddove il curatore non rinvenga le scritture contabili o, a causa della loro irregolare ed inattendibile tenuta, non sia possibile determinare i netti patrimoniali, il danno potrà essere liquidato con ricorso al criterio della differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.
In tale ultima ipotesi il legislatore ha addirittura previsto una vera e propria presunzione legale assoluta, andando ben oltre l’orientamento della Suprema Corte (Cass. SS. UU. 9100/2015, secondo cui la mancanza delle scritture contabili di per sé sola non giustifica il ricorso al criterio della differenza tra attivo e passivo).
Risulta chiaro l’intento deterrente del legislatore a cui i giudici sono tenuti ad uniformarsi: in caso di insolvenza e di accertata responsabilità degli amministratori e/o dei sindaci è meglio per i responsabili che le scritture contabili siano presenti e tenute correttamente, onde evitare di incorrere in una condanna il cui ammontare viene stabilito in via presuntiva e gravosa.
L’inserimento del terzo comma all’art 2486 c.c. costituisce il coerente bilanciamento sanzionatorio e dissuasivo rispetto all’invito rivolto dal legislatore agli amministratori di dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile finalizzato proprio alla rilevazione tempestiva della crisi.
Il Codice della Crisi e dell’insolvenza pur inserendo criteri sommari determinativi del danno dovrebbe nella realtà perseguire uno scopo deflattivo delle liti che consentano tale applicazione e ciò per via dell’introduzione dei warning tools capaci (nelle aspettative) di portare l’amministratore a confrontarsi con le proprie responsabilità assai prima che si producano danni di vaste dimensioni a cui siamo ora abituati ad assistere negli attuali fallimenti.
Pertanto se l’amministratore saprà dotarsi degli assetti voluti dalla legge e sarà monitorato se non dagli organi interni quantomeno dai responsabili dell’allerta esterna ex art 15 CCI, tale criterio di liquidazione nelle azioni di responsabilità dovrebbe rimanere un monito sulla carta di infrequente applicazione.