Società in liquidazione, piano liquidatorio e accesso alla Composizione Negoziata

A cura dell’avv. Gianfranco Benvenuto..

Abstract

Il presente elaborato propone l’analisi dell’Ordinanza emessa dal Tribunale di Perugia investito della decisione di conferma delle misure protettive richieste da un’impresa in stato di liquidazione volontaria e degli orientamenti giurisprudenziali in merito alla compatibilità di piani di risanamento a carattere liquidatorio nell’ambito della Composizione Negoziata.

Il provvedimento del Tribunale di Perugia

Il Tribunale di Perugia con l’ordinanza n. 299 del 15 luglio 2024 affronta il tema dell’accesso alla Composizione Negoziata da parte di una società in liquidazione volontaria.

Nel caso di specie, una società in liquidazione con ricorso ex art. 19 CCII, richiedeva la conferma delle misure protettive generiche di cui all’art. 18 CCII; il Giudice aderiva alla richiesta nonostante il piano di risanamento fosse sostanzialmente liquidatorio in quanto imperniato sulla vendita dell’unico immobile di proprietà rappresentante l’intero attivo disponibile per la massa dei creditori.

Se ne deduce che per il Tribunale perugino è ammissibile l’accesso alla Composizione negoziale anche da parte dell’impresa in stato di insolvenza che proponga un piano liquidatorio in quanto l’espressione “ragionevole perseguibilità del risanamento” di cui all’art 12, CCII si presta a ricomprendere tanto il risanamento dell’impresa tramite una sua prosecuzione dell’attività in continuità diretta od indiretta quanto il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa tramite la soddisfazione dei creditori anche con i proventi della liquidazione dell’attività.

Gli orientamenti giurisprudenziali

Il tema della compatibilità del piano liquidatorio e dell’accesso alla composizione negoziata è oggetto di dibattito giurisprudenziale sin dall’introduzione dell’istituto con il D.L. n. 118/2021.  

Le prime pronunce di merito si sono schierate su un fronte di maggiore prudenza: in questo solco si colloca ad esempio il Tribunale di Bergamo che, partendo dall’assunto che la composizione negoziata è riservata alle imprese in cui risulta ragionevole il perseguimento del risanamento, ha ritenuto incompatibile questa condizione con lo stato di liquidazione in difetto di allegazione e dimostrazione della volontà di procedere alla revoca dello stato di liquidazione ex art. 2487 ter c.c. (Trib. Bergamo, 15 febbraio 2022, in Dirittodellacrisi.it).

Lo stesso Tribunale bergamasco in sede di reclamo ha poi confermato l’ordinanza del g.d. assumendo che le misure protettive sono funzionali al superamento dello stato di squilibrio patrimoniale o economico -finanziario dell’impresa e alla prosecuzione dell’attività mentre la società in liquidazione non aveva dato prova di poter eliminare la causa di scioglimento e per questa via rendere verosimile la possibilità della prosecuzione dell’attività dell’impresa risanata (Trib. Bergamo, 30 marzo 2022, in Dirittodellacrisi.it).  

Anche il Tribunale di Ferrara ha negato la compatibilità della Composizione negoziata con la presentazione di piani liquidatori insistendo sulla necessità della prosecuzione dell’attività  ed osservando che “rimane oscuro come l’eventuale ripristino dell’equilibrio economico-finanziario sia in grado di resuscitare la continuità dell’impresa, mettendola in condizione di produrre valore, posto che l’azienda sarebbe stata venduta”e affermando che “essendo la finalità immediata della composizione negoziata – così come rappresentata dalla ricorrente – quella della liquidazione dell’attivo a favore della (n.d.r. società) correlata con conseguente pagamento falcidiato dei creditori, ed essendo la ripresa della continuità del tutto astratta e meramente ipotetica, anche nella stessa prospettazione della ricorrente, può affermarsi che la ricorrente non presenti, sulla base delle sue stesse affermazioni e prospettazioni, una seria e ragionevole possibilità di risanamento e quindi manchi lo stesso presupposto per accedere alla composizione negoziata”.Da tale considerazione il risanamento dell’impresa implicherebbe sempre la prosecuzione dell’attività (Trib. Ferrara, 21 marzo 2022, in Dirittodellacrisi.it).

Nello stesso solco giurisprudenziale si colloca anche il Tribunale di Arezzo il quale ha affermato che “ad essere incompatibile con la composizione negoziata non è tanto lo stato di liquidazione societaria in sé e per sé considerato, quanto la sussistenza di una insolvenza irreversibile e l’assenza di una concreta prospettiva di risanamento, inteso come riequilibrio finanziario e patrimoniale che consenta all’impresa di restare sul mercato, se del caso previa revoca dello stato di liquidazione” (Trib. di Arezzo, 16 aprile 2022, in Dirittodellacrisi.it). Nel caso di specie venivano revocate le misure protettive in quanto l’impresa si trovava in stato di liquidazione dal 2018 e aveva presentato un piano di risanamento volto alla soddisfazione dei debiti residui per poi procedere alla cancellazione dal registro delle imprese, uscendo quindi dal mercato.

La pronuncia in commento opera invece un salto di qualità ponendo l’accento sulla risanabilità del debito più che sulla continuità dell’attività aziendale che peraltro non appare espressamente tra le condizioni dell’applicabilità dell’istituto.

Il giudice perugino muove la propria motivazione dalla considerazione che il documento allegato al D.M. 28/09/2021 prevede la possibilità che accedano alla CNC anche le imprese affette da insolvenza reversibile in cui la reversibilità è da intendersi come “la possibilità di rendere il debito sostenibile tramite stralci o proventi derivanti dalla dismissione dell’azienda.”

“A ben vedere quindi l’applicazione del test pratico e i chiarimenti della lista di controllo rendono evidente che nell’espressione, di per sé generica, “ragionevole perseguibilità della risanamento dell’impresa” di cui all’art. 2 D.L. 118/2021 (ora art. 12 CCII) debba, a seconda dei casi e, in particolare della gravità della crisi dell’istante, ricomprendersi tanto il risanamento dell’impresa tramite una sua prosecuzione (totale o parziale) della sua attività in continuità diretta o indiretta, quanto il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa tramite la soddisfazione dei creditori anche con i proventi della liquidazione dell’attività”.

A quest’approdo potrebbe costituire un ostacolo l’art 23 ccii lettera a) che indica tra le soluzioni attraverso cui addivenire al superamento della situazione di squilibrio, il contratto che deve essere idoneo ad assicurare la continuità aziendale; tuttavia lo stesso articolo 23 comma 1 lettera c) prevede come soluzione alternativa per la chiusura della Composizione negoziata la sottoscrizione di accordi con i creditori atti a produrre l’esenzione da revocatoria senza richiamare anche gli effetti propri del piano attestato di risanamento di cui all’art 56 CCII e dunque senza richiedere anche il riequilibrio della situazione economico finanziario dell’impresa previsto, appunto dall’art 56 CCII.

L’indagine si allarga anche alle altre soluzioni previste dall’art. 23, quali l’accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi degli artt. 57, 60, 61 o il concordato semplificato, ipotesi queste che non si pongono in contrasto con un intento liquidatorio della soluzione della crisi.

Dunque l’attenzione si focalizza sul piano che se consente, anche attraverso stralci accettabili dai creditori, di pervenire alla loro soddisfazione (anche parziale), non si vede ragione per impedire lo svolgimento di trattative e quindi di negare la conferma delle misure protettive.

Conclusioni

La decisione si segnala per il suo pragmatismo che va nella direzione voluta dalla direttiva insolvency (UE 2019/1023) che incoraggia la soluzione privatistica della crisi attraverso l’accordo con i creditori.

Anche in caso di piano liquidatorio permangono peraltro garanzie a tutela del ceto creditorio indicate nella possibilità dell’esperto di concludere l’incarico se il tentativo di risanamento rivelasse l’assenza delle condizioni di reversibilità della crisi o nella possibilità, comunque, di ascoltare i creditori chiamati a prendere posizione sulle misure protettive richieste dal debitore indicando le ragioni dell’opposizione a vantaggio di soluzioni liquidatorie che si rivelerebbero più invasive per il debitore.

L’istituto della Composizione Negoziata sta dimostrando di dare risultati interessanti come rilevano i dati diffusi da Unioncamere (cfr. ilsole24ore del 02/09/2024) che la vedono in crescita del 60 % rispetto all’anno precedente con una percentuale di successi legati agli accordi raggiunti con il ceto creditorio pari ad oltre il 20%.

In questo contesto, imbrigliare l’istituto con vincoli che la legge stessa oggettivamente non pone in quanto non cita mai tra le condizioni la prosecuzione della continuità aziendale, equivale a limitarne l’applicazione con un accrescimento dei costi della ristrutturazione del debito affidato agli istituti più convenzionali quali il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale che erodono quote maggiori di patrimonio e difficilmente riescono a restituire ai creditori una soddisfazione paragonabile a quella ottenibile attraverso un coinvolgimento diretto.

Certamente anche il magistrato perugino è consapevole che occorra porre argine alle richieste abusive rappresentate dai casi in cui lo stato di liquidazione dell’impresa richiedente sia protratto da tempo e il valore dei beni da liquidare e dell’attivo disponibile rispetto al debito complessivo dell’impresa sia esiguo; tuttavia considerando che a presidio di tali casi si pongono a guardiani sia l’esperto che il tribunale stesso chiamati a riconoscere le istanze meramente dilatorie e non utili alla effettiva trattativa, appare nell’interesse stesso dei creditori (che infatti nel caso di specie non si sono opposti alle misure protettive) favorire un territorio di dialogo costruttivo volto alla miglior soddisfazione dei creditori.


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