La responsabilità dell’imprenditore: applicazioni attuali e future del nuovo art. 2086 c.c.

A cura dell’Avv. Gianfranco Benvenuto

Questo contributo è volto ad evidenziare le nuove responsabilità per gli amministratori a seguito delle modifiche che sono intervenute recentemente nella legislazione che attiene al quadro degli assetti, dell’organizzazione della società e, in generale, dell’attività di impresa.

Complice il Covid e i frequenti rinvii che ha subito il CCII, l’innovazione non è stata avvertita in modo adeguato da parte dei destinatari, ovvero dagli imprenditori.

Ebbene, tra le norme che sono già in vigore dal febbraio 2019, data in cui è entrata in applicazione una quota del CCII, vi è il secondo comma aggiunto all’art. 2086 c.c. che si occupa proprio dell’organizzazione e gestione dell’impresa.

L’imprenditore è il titolare, il referente, il cavaliere della propria impresa, ma ha l’onere e il compito di organizzarla ancorché secondo la propria volontà e schemi; sul punto però il legislatore pone alcuni vincoli che determinano il perimetro della libertà di organizzazione dell’impresa fissando i requisiti minimi attraverso l’indicazione del risultato che deve ottenere la sua organizzazione.

Fino a due anni fa, nel Codice Civile, in particolare nella sezione dedicata alle società, esistevano solo disposizioni che attenevano alla responsabilità dell’amministratore che scattavano al momento della perdita del capitale o dell’insorgere dell’insolvenza ovvero nel momento in cui la crisi si manifestava all’esterno. Sappiamo, infatti, che con la perdita di un terzo del capitale sociale, che costituisce un po’ il cuscinetto per le garanzie dei creditori, l’imprenditore ha alcuni obblighi quali la richiesta ai soci di ricapitalizzare la società o la decisione di sciogliere la società; scelte che se non operate comportano per l’appunto una responsabilità a causa del trasferimento sui creditori del rischio d’impresa.

Non esisteva, dunque, nell’organizzazione della società, alcuna norma che prevedesse tematiche di segnalazione della crisi, che ponesse l’amministratore nella posizione di attenzionare, monitorare, controllare e soprattutto prevenire l’evoluzione della crisi.

Questo è stato il principale compito del CCII e delle disposizioni che la legge ha introdotto nel codice civile.

Nell’agosto 2021 è stato, peraltro, emanato un provvedimento di coda e di chiusura del cerchio delle tematiche relative alle responsabilità e all’organizzazione della società: il DL 118/2021 che ha il compito di indicare all’amministratore cosa fare in caso cominci ad avvertire i primi sintomi delle difficoltà anche laddove non si siano ancora manifestati all’esterno.

Il DL 118/2021 ha anche differito, spostandolo da settembre 2021 a maggio 2022 l’entrata in vigore del CCII nonché l’ingresso della figura del sindaco nelle società che hanno più di € 4milioni di fatturato, € 4milioni di attivo o un numero di dipendenti superiore a 20 unità (rinviato all’approvazione del bilancio del 2022, quindi ad aprile 2023).

Il CCII attraverso l’organo dei sindaci costituisce un baluardo che interviene proprio sul tema della rilevazione tempestiva della crisi; in particolare ai sindaci è stato affidato il compito di segnalare, attraverso l’allerta, all’imprenditore e all’amministratore, i prodromi della crisi.

Fatta questa lunga introduzione possiamo segnalare 4 punti cardinali posti dal legislatore per l’imprenditore che faccia impresa oggi.

Il primo è il CCII che (tendenzialmente) riguarda la patologia dell’attività di impresa. Il Codice della Crisi raccoglie un fascio di norme, regole e disposizioni normative (prima disseminate in diverse disposizioni di legge) alle quali l’imprenditore deve guardare in caso si trovi nella situazione di crisi. Il CCII prevede i piani attestati, gli accordi di ristrutturazione, i concordati (preventivo, liquidatorio o in continuità), e poi tratta tutti i temi della crisi dell’impresa minore, dell’imprenditore artigiano, delle start up o ancora della crisi del professionista, della c.d. crisi civile, figure queste ultime che oggi vengono disciplinate sotto l’ombrello della legge sul sovraindebitamento.

Il secondo punto cardinale, che riguarda la fisiologia e l’aspetto organizzativo dell’impresa, è il comma 2 dell’art. 2086 c.c. che recita: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché ha l’obbligo di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Tale disposizione, non a caso, non si colloca nella sezione del Codice Civile dedicata alle società in quanto non è una norma societaria, anche se attiene all’organizzazione dell’impresa svolta in termini collettivi, ma è ubicata nella sezione del codice dedicata all’impresa.

La norma, infatti, è successiva all’art. 2082 c.c. che definisce l’imprenditore come il soggetto che opera e svolge un’attività di impresa in forma organizzata volta alla produzione e scambio di beni e servizi. L’imprenditore è dunque innanzitutto un soggetto organizzato e l’art. 2086 c.c. specifica come nella fisiologia, questa organizzazione debba comportare assetti di carattere organizzativo, amministrativo e contabile, volti (il legislatore ci dà solo la finalità) alla tempestiva rilevazione della crisi; detta organizzazione deve indurre l’imprenditore ad adottare rapidamente gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento nel caso in cui si trovi già in crisi e debba recuperare lo squilibro economico finanziario, ovvero la continuità aziendale persa.

Gli ultimi due punti cardinali a cui deve guardare l’imprenditore sono il DL 118/2021 e il Decreto Ministeriale attuativo del 28/09/20121. Queste norme permettono all’imprenditore di effettuare verifiche molto semplici per misurare la “temperatura” della crisi anche se non ancora manifestatasi all’esterno, per capire quanto del reddito dell’impresa è posto al servizio del debito, se l’impresa genera attivo e ricavi o se invece è in perdita e se ha assunto una posizione di declino.

Anche se la crisi non si è ancora manifestata all’esterno e non vi sia ancora la perdita del capitale sociale o uno stato di insolvenza, l’imprenditore è tenuto ad adottare delle misure.

Tra i tanti meriti che è possibile riconoscere al CCII, vi è sicuramente quello di aver definito lo stato di crisi. Fino ad oggi la crisi era appiattita sulla figura dell’insolvenza: nella legge fallimentare all’art. 160 si parla infatti di crisi comprendente anche lo stato di insolvenza. In realtà quella di “crisi” è una nozione ricavata da un’esperienza aziendalistica, dalla perdita della continuità aziendale e della attitudine di generare quei flussi di cassa capaci di assolvere alle obbligazioni programmate.

Infatti la crisi è definita dal CCII come quella “situazione di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza e in capo all’imprenditore si manifesta, appunto, come l’incapacità dell’impresa di assolvere alle obbligazioni programmate”.

Il CCII ha previsto e programmato l’istituto dell’allerta come figura giuridica capace di stimolare e sensibilizzare l’imprenditore a prendere quelle misure necessarie a riportare in equilibrio la propria società o impresa prima ancora che questi elementi di crisi si rivelino all’esterno. Ciò deve accadere, da un lato, per volontà stessa dell’imprenditore che vi provvede attraverso l’istituzione degli assetti e, dall’altro, attraverso un compito affidato agli organi di controllo (sindaci o revisore) o ai grandi creditori (INPS, Ag.E) che hanno il compito, superate certe soglie, o per quanto riguarda i sindaci, al verificarsi di alcuni indici, di segnalare all’imprenditore l’obbligo di adottare le misure necessarie per uscire o porre mano alla crisi.

Ma la figura dell’allerta ha una criticità perché l’obbligo di segnalare la crisi è troppo vicino allo stato di insolvenza stessa. Occorre tenere presente che, uno degli indicatori della crisi previsto dal CCII è costituito dai “ritardi nei pagamenti reiterati e significativi” che evidentemente descrive una situazione molto prossima all’insolvenza se non addirittura calata nell’insolvenza stessa.

Ritenendo questo strumento non ancora adeguatamente calibrato al fine di riuscire a cogliere i sintomi della insolvenza, il DL. 118/21 ha introdotto un ulteriore requisito soggettivo che deve sussistere per attivare le disposizioni di legge, costituito dallo squilibrio economico finanziario patrimoniale che rende “probabile” la crisi o l’insolvenza. Quindi l’imprenditore non è più necessario che si trovi in una condizione di probabilità di insolvenza per attivare questi strumenti, ma è sufficiente una fase antecedente.

Questo vuol dire che il legislatore pone in capo all’imprenditore l’onere di monitorare costantemente la propria attività, di cogliere con tempestività i sintomi della crisi e lo induce ad adottare quelle misure necessarie per farvi fronte.

A tal proposito, il DL.118/21 prevede la possibilità, attraverso l’accesso ad una piattaforma ministeriale, di eseguire un test abbastanza intuitivo preparato su un foglio excel, per capire a grandi linee se occorre effettivamente adottare misure necessarie per far fronte alla crisi.

Se l’impresa si trovasse in uno stato di insolvenza e dovesse affrontare una procedura concorsuale più articolata quale il fallimento o il concordato e i suoi responsabili non sapessero dare dimostrazione di aver tempestivamente adottato quelle misure per prevenire la crisi quando ancora questa era in una condizione embrionale, allora in capo a costoro emergeranno delle responsabilità.

Con l’art. 2086 c.c. il legislatore afferma un dovere in capo all’imprenditore di istituire gli assetti che sono degli strumenti di controllo, tesi a consentire attraverso la costante verifica dei conti e delle situazioni finanziarie, se l’imprenditore abbia effettivamente la capacità necessaria per arrivare alla fine del periodo programmato (normalmente i successivi 6 mesi) rispettando il regolare pagamento delle obbligazioni pianificate: questo onere si ripete costantemente mantenendo inalterato lo sguardo dell’imprenditore sull’orizzonte della propria impresa come quello di un comandante sulla propria imbarcazione teso sempre a scrutare ciò che incrocerà prossimamente la propria rotta.

Ma vi sono anche altri elementi che si orientano in questa direzione. Nel caso in cui l’imprenditore debba accedere al fallimento, è previsto che l’impresa non giunga più a quel traguardo smantellata ed incapace di produrre, perché l’istituto, fino ad oggi eccezionale, costituito dall’esercizio provvisorio, sarà nel futuro la norma. Il che vuol dire supporre che l’impresa arrivi al fallimento ancora in condizione di produrre beni e distribuire servizi e di avere ancora tutti gli assetti essenziali che le permettono il funzionamento.

Un ulteriore elemento si ricava dal concordato, dove vi è stata una forte valorizzazione della modalità in continuità: se l’imprenditore è in grado di proseguire con l’impresa e di mantenerla in continuità, il legislatore lo premia dandogli la possibilità di ristrutturarla attraverso il concordato preventivo, ma se l’imprenditore non è stato in grado di portare al concordato un’impresa in continuità ed intende accedere a quello liquidatorio in alternativa al fallimento, deve conferire finanza esterna per un valore pari al 10% del patrimonio attivo distribuibile a favore dei creditori.

Quanto riferito porta a concludere che l’imprenditore è stimolato e spinto verso una prevenzione ed un monitoraggio costante dell’impresa, al fine di cogliere i sintomi iniziali della crisi, e il legislatore gliene fornisce gli strumenti, attraverso la declinazione degli assetti, di cosa sono e di come vanno usati.

Ma se, diversamente non ne fa uso e si fa travolgere dalla crisi o condurre all’insolvenza senza prevenirne i sintomi ed avvertire il mercato del declino dell’impresa e della necessità, per il bene di tutti, di dialogare per affrontare le difficoltà, le responsabilità che lo colpiranno saranno certamente severe e misurate sul rischio inutilmente trasferito agli stakeholders per l’aggravamento delle condizioni patrimoniali incapaci di assolvere alle obbligazioni.


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