La responsabilità dell’imprenditore non subisce arresti pandemici: gli assetti come scudo
1. Premessa
Dopo un anno di pandemia non è difficile credere che l’imprenditore viva un sentimento di disorientamento profondo.
L’imprenditore ha attraversato tutte le stagioni dello stato d’animo: dalla sorpresa, alla disperazione, alla rassegnazione ed ora alla euforica aspettativa di ripresa.
Un numero rilevantissimo di imprenditori ha sperimentato in modo assolutamente inatteso i concetti di crisi e perfino di insolvenza se non fosse che provvedimenti normativi emergenziali ne hanno anestetizzato gli effetti rendendo superfluo adottare i provvedimenti che normalmente sono predicabili in quei casi.
2. I principali provvedimenti emergenziali
Da un lato infatti l’art 6 del D.L. 23/20 (come modificato dall’art 1 co 266 L. 178/2020) ha sospeso per l’esercizio chiuso al 31/12/2020 il principio “ricapitalizza o liquida” che per effetto del combinato disposto degli artt 2484 co 1 n 4 e 2485 c.c. trova applicazione al momento della perdita del capitale sociale, rinviando addirittura alla scadenza del 5° esercizio successivo il compito di verificare che la perdita risulti diminuita a meno di un terzo (secondo quanto normalmente stabilito dall’art 2446 co 2 c.c.).
Dall’altro l’art. 7 dello stesso D.L. 23/20 ha sottratto all’amministratore il compito di esprimere una valutazione sulla continuità aziendale in relazione al bilancio al 31/12/2020, consentendogli di ricavarla “presuntivamente” da quella esistente durante l’esercizio precedente.
Inoltre, per ridurre l’apparenza di incapienza, l’art 110 D.L. 104/20, ha permesso la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni, e (con una serie di provvedimenti a catena: D.L. 18/20, D.L.104/20 e L. 178/20) il legislatore ha concesso una moratoria sino al 31/12/2021 per la restituzione dei finanziamenti bancari.
Infine, ma non ultimo, escludendo attraverso l’art 91 D.L. 18/20 la responsabilità per l’inadempimento o il ritardo ex art 1218 e 1256 cc. a vantaggio di chi fosse stato obbligato a rispettare le misure di contenimento della pandemia, il legislatore ha, in molti casi, svuotato di contenuti il concetto stesso di insolvenza che si manifesta proprio attraverso “gli inadempimenti”.
3. La nozione di crisi e l’applicazione in caso di pandemia
Dunque viene da chiedersi se questa situazione abbia offerto un ampio safe harbour agli amministratori e creato una bolla protettiva per la loro responsabilità o se invece gli indicatori di allerta a presidio di una corretta gestione amministrativa hanno continuato ad operare, comportando rischi per chi, narcotizzato dalla privazione degli ordinari stimoli economici dettati dalla differenza tra costi e ricavi, abbia perso la bussola orientativa, andando incontro, inavvertitamente, a responsabilità personali in conseguenza dell’incapacità della propria impresa di rispondere delle obbligazioni.
Il fatto che la normazione emergenziale lo abbia posto al riparo dalla responsabilità più ricorrente, costituita dalla prosecuzione dell’attività d’impresa nonostante la perdita del capitale sociale con violazione dell’obbligo di conservazione dell’integrità e del valore dell’impresa, non significa che qualsiasi condotta lesiva degli interessi dei creditori sia concessa e conseguentemente l’inerzia durante e successivamente alla pandemia sia un’esimente da qualsiasi ipotesi di responsabilità.
Sopravvivono e non sono stati minimamente compressi da effetti sospensivi, gli artt 2394, 2392 e 2086 c.c. che pongono obblighi di conservazione del valore patrimoniale, di diligenza e prudenza nella gestione dell’impresa e della necessità di mantenere un assetto organizzato dell’impresa proprio al fine di prevenire situazioni di crisi.
Con il codice della crisi di prossima entrata in vigore (1/09/2021), ma recepito in un testo normativo che ha visto la luce nel febbraio 2019, la nozione di crisi si è definitivamente affrancata da quella di insolvenza sulla quale la legge fallimentare l’aveva appiattita (cfr art 160 l.fall: “per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza“), in virtù di una definizione che ne rivela la comparsa in coincidenza di “uno stato di squilibrio economico finanziario che rende probabile l’insolvenza e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate“.
La definizione richiama un aspetto fondamentale che connota intrinsecamente la figura stessa dell’imprenditore: l’organizzazione come peraltro disegnato dall’art 2082 c.c. che definisce per l’appunto l’imprenditore “chi esercita professionalmente un’attività organizzata…”
L’imprenditore deve essere in grado di programmare la propria attività e sapere con un grado di affidabilità se sarà in grado, con i flussi di cassa che prevede in base ad “assumption” ragionevoli e credibili, di garantire la sostenibilità stessa degli impegni programmati: il pagamento dei fornitori, dei finanziamenti, del personale, della locazione, dell’energia, delle materie prime, delle imposte.
4. L’obbligo degli assetti e l’applicazione dell’art 2086 c.c.
Per questa attività predittiva l’art 2086 c.c. lo costringe (senza mezzi termini) a dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili che sappiano mettergli costantemente davanti la realtà economica dei successivi 6/12 mesi in modo da riuscire a correggere le linee di investimento e della sostenibilità degli impegni che deve adottare come imprenditore.
La pandemia ha rappresentato un acceleratore di cambiamenti che in molti comparti economici si sarebbero verificati ugualmente ma in tempi probabilmente più dilatati: quasi certamente la ristorazione si rispanderà come prima ma i ristoratori che non si sono organizzati con un servizio di delivery, ne risulteranno quasi certamente penalizzati.
Gli alberghi riprenderanno la loro passata attività, ma quelli che traevano una quota importante di ricavi dal noleggio di grandi sale per eventi congressuali, vedranno ridimensionate le entrate per via del dilagante uso di piattaforme di videoconferenza che rendono inutili e dispendiosi molti spostamenti.
Gli elettrodomestici si continueranno a vendere ma ciò nondimeno molti rivenditori chiuderanno per l’espandersi, apparentemente senza limiti, di distributori come Amazon.
In tutti questi casi la pandemia è solo un pretesto di crisi e la cecità di chi non vuole o non sa cogliere il vento del cambiamento si tradurrà in responsabilità ma non già per aver incrociato la crisi, ma per non averla saputa governare attraverso processi organizzativi in grado di pronosticare con ragionevole certezza lo sviluppo del proprio percorso imprenditoriale che senza un’adeguata programmazione supera il rischio d’impresa per approdare nell’azzardo privo di controllo e della tutela da parte dell’ordinamento.
La protezione dell’ordinamento si arresta ai casi in cui l’imprenditore non adotta le regole stabilite per ricondurre l’attività d’impresa in un’area di ordinato controllo che richiede il rispetto delle due regole scritte nell’art 2086 c.c.
- l’adozione di adeguati assetti organizzativi amministrativi e contabili capaci di rilevare tempestivamente i sintomi della crisi e
- l’adozione senza indugio di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
Se in presenza di crisi l’imprenditore ha adottato con tempestività gli strumenti indicati dal legislatore, l’eventuale esito negativo con conseguente fallimento non sarà motivo di responsabilità; diversamente ove il fallimento dovesse colpire l’imprenditore sprovveduto od azzardato che non si è dotato di assetti adeguati o che non ha tratto le conseguenze richieste di misurarsi con una ristrutturazione al fine di conservare il patrimonio a garanzia della soddisfazione dei creditori, le responsabilità dell’imprenditore saranno inevitabili ma non già per il danno recato ai creditori ma perché non ha rispettato le regole stabilite dal legislatore a presidio di un ordinato e rispettoso svolgimento del processo imprenditoriale.